Il Cerchio magico: autonomia o sicurezza?

Una sentenza della Corte di Cassazione dello scorso maggio, recentemente recepita da tutti gli istituti scolastici con una circolare, ha stabilito che i ragazzini delle scuole medie non possono tornare a casa da scuola da soli e che quindi gli insegnanti non possono lasciarli andare senza la presenza di un genitore (o suo delegato) che li attenda fuori dal cancello, pena la denuncia per “abbandono di minore”. In questo periodo di assestamento del tran tran scolastico,la notizia ha colto impreparati molti genitori con figli alle medie, orientati a lasciarli ormai andare e venire da scuola in autonomia, così come accadeva alla nostra generazione nella quale spesso il passaggio a questo ordine di scuole sanciva l’importante momento del ricevere “le chiavi di casa” e la possibilità di andare e venire da soli.

Al di là della posizione difficile di presidi e docenti chiamati a fare da cuscinetto tra l’applicazione di una sentenza e le istanze, più che comprensibili, dei genitori, mi pare che questa circolare dia l’occasione per riflettere su un tema molto ampio ovvero il difficile rapporto tra autonomia e sicurezza dei bambini.

In questo, come su altri argomenti, si creano rapidamente schieramenti tra i genitori pro-autonomia, per i quali costringere ragazzini di 11-13 anni a farsi accompagnare sia una vergogna tutta italiana frutto della società dei bamboccioni, e i genitori pro-sicurezza, per i quali in questo momento nelle nostre città non ci sono le condizioni necessarie e sufficienti per consentire a ragazzi di quell’età di muoversi senza un adulto. In realtà la questione è ben più ampia ed ha a che fare con un’idea dell’infanzia molto recente e anche piuttosto ambigua. Nel 2002 il sociologo danese Jens Qvortrup scriveva che la prospettiva moderna è quella che i bambini vadano costantemente protetti a discapito della loro possibilità di partecipare realmente alla vita sociale e di esercitare la propria libertà e la scuola stessa è la prima manifestazione di questa generale tendenza. Affermava: “I bambini custoditi in una istituzione, sia che si tratti di asili, di scuole o di altre strutture organizzate, sono considerati in generale come protetti. Eppure ci sono molti problemi che non dovrebbero essere trascurati… cioè il fatto che i bambini sono confinati in spazi particolari, in periodi di tempo programmati e che questa è, a prima vista, una deprivazione alla loro libertà di muoversi e di scegliere”. La libertà dei bambini, i loro tempi non rappresentano dunque delle priorità, a pesare è sempre la protezione che, in ultima analisi, è finalizzata alla società adulta più che a loro e che porta a quella che gli studiosi chiamano “islanding” dell’infanzia, la tendenza cioè a isolare i bambini dagli spazi utilizzati dagli adulti. Lo facciamo per paura, lo facciamo perché  li amiamo, lo facciamo perché dobbiamo lavorare e vogliamo stare tranquilli, certo, ma i bambini diventano così cittadini diminuiti delle nostre città. È chiaro che questa tendenza andrebbe contrastata, ma lo è altrettanto il fatto che effettivamente sono necessarie alcune condizioni perché i bambini possano muoversi in autonomia, altrimenti si rischia di fare retorica vuota: la prima condizione è educarli a quella autonomia, la seconda però è rendere più sicure le nostre città, facendo rispettare il codice stradale, evitando che si creino zone “di nessuno” in mano alla microcriminalità, soprattutto –direi-valorizzando i piccoli presìdi comunitari. Se mia figlia oraandasse a scuola da sola(è troppo piccola, ma lo porto a mò di esempio) passerebbe davanti ad almeno 5 negozianti che la conoscono dalla nascita e che in 30 secondi saprebbero a quale citofono venire a cercarmi se dovesse capitarle qualcosa.Ma in quartieri dormitorio, senza un negozio, senza nessuno per strada, magari con piazzette in cui si accalca la piccola criminalità del quartiere, è ben difficile che un genitore possa dirsi sicuro nel lasciar uscire il proprio figlio e non è certo ansia ingiustificata. Allora che fare?

Da genitori, credo che sia il momento di impegnarci per dire che la libertà e l’autonomia dei nostri figli sono per noi  valori imprescindibili, sanciti dalla costituzione per altro, e chiedere che siano garantite le condizioni perché questi possano darsi, ma anche attivandoci per inventarle noi. Invece di creare tifoserie lavoriamo sul concreto e sul possibile aiutandoci tra famiglia a creare piccoli “presìdi di comunità”: la finestra dalla quale si vede l’attraversamento più pericoloso, il papà-palo che verifica l’arrivo di tutti i ragazzini del gruppo, il giornalaio che “butta un occhio” e – in caso di problemi – sa chi avvisare. Questi sono passi che possiamo compiere tutti, semplici e utili, in attesa di avere l’occasione di dimostrare che i nostri figli hanno necessità di esprimere questa autonomia e che la legge deve consentirglielo.

Quindi ben vengano le raccolte firme, ma intanto costruiamo comunità, per i nostri figli e anche per noi.