Il Cerchio magico: il matrimonio è eterno finchè dura?

La sentenza della cassazione che ha sancito che alla moglie divorziata non spetti più un assegno di mantenimento che le garantisca lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio, ma solo quanto strettamente necessario per sopravvivere, ha scatenato una serie di reazioni per lo più entusiastiche, da parte di donne e uomini.

Si è parlato di una sentenza (ma chissà forse in futuro legge) finalmente paritaria, che va a rendere giustizia a tutti quei padri separati che si trovano in condizione di indigenza per mantenere le mogli, di un ennesimo colpo alla società patriarcale che vedeva nella donna una persona incapace di mantenersi da sola. Ovviamente si sono alzate, meno forti e meno popolari, anche le voci contrarie: quelle di chi ha messo in luce il fatto che in Italia il lavoro femminile è più precario di quello maschile, sottopagato quando non assente e che parlare di sussistenza significherà far precipitare molte donne sotto la soglia della povertà. Ci si è concentrati anche sul fatto che in un paese già a crescita zero e nel quale molte donne scelgono di stare a casa dopo il secondo figlio  per carenza di servizi e di opportunità lavorative come il part-time, se si arrivasse a una legge del genere le donne probabilmente il secondo figlio eviteranno di farlo e si terranno stretto il loro lavoro per paura di ritrovarsi un giorno sole, povere e con l’intero carico della responsabilità dei figli.

È su quest’ultimo punto che vorrei soffermarmi perché in questi giorni, in varie discussioni sui social, ho visto emergere un approccio – diciamo – pragmatico al matrimonio che mi ha colpita: si diceva (soprattutto le donne lo dicevano) che sposarsi non significa sistemarsi e che lasciare il lavoro per seguire i figli e dare al marito la possibilità di fare carriera è da irresponsabili. Naturalmente sono affermazioni che non mancano di buon senso, ma confesso di aver avvertito una morsa di dolore nel leggerle: un’altra spallata a quel che restava dell’idea di matrimonio indissolubile. Il pensiero che una persona entri nell’avventura matrimoniale già con l’idea che potrebbe finire e che quindi deve tutelarsi al meglio e non può fidarsi nemmeno delle decisioni condivise in vista di un bene comune, come quella di ridurre per alcuni anni il proprio lavoro o addirittura rinunciarci per curare i figli,  è spaventoso. Il matrimonio è forse una follia, perché pensare di legare la propria vita per sempre a un’altra persona sicuramente è contrario al buon senso e non abbiamo garanzie che duri, ma è una follia che o si compie pienamente e con fiducia oppure è meglio evitare, scegliendo altre strade oggi facilmente praticabili, come la convivenza.

Credo che al di là di questa sentenza, che temo avrà conseguenze su sentenze successive e quindi sulla vita di tante donne, si debba provare a resistere a un’idea per la quale la vita è sempre e solo ragionevole e misurata e ribadire che se non ci tuffiamo con totale fiducia in avventure grandi come il matrimonio rischiando di perdere, allora abbiamo perso in partenza e questo nulla toglie alla necessità politica di impegnarsi perché nessuna donna sia costretta a lasciare il lavoro per la famiglia, ma possa essere tutelata se liberamente e in maniera condivisa, decide di farlo.

Paola Lazzarini 

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