Il Cerchio magico: #metoo persona dell’anno

Quest’anno il Time ha scelto come “Persona dell’anno” le donne che hanno portato avanti il movimento di #metoo, rendendo così evidente quanto il finale del 2017 sia stato segnato dalle conseguenze a cascata dello scandalo Wienstein, perché evidentemente ciò che avviene a Hollywood, che ci appare tanto lontana, consente di svelare anche ciò che accade vicino a noi e a noi. Proprio in questi giorni si è anche svolta la cerimonia dei Golden Globes caratterizzati quest’anno dall’aver posto al centro dell’attenzione le richieste di “time’s up” la lettera aperta da cui è nata un’associazione voluta da 330 lavoratrici del mondo dello spettacolo per combattere le molestie in tutti gli ambienti di lavoro.  Attrici, registe, sceneggiatrici e presentatrici hanno scelto di rappresentare anche visivamente l’imperativo che “il tempo è finito” vestendosi tutte di nero. Certamente protestare contro la prevaricazione maschile nei luoghi di lavoro con abiti da decine di migliaia di dollari e sfoggiando diamanti stellari può sembrare poco significativo, eppure dice una cosa a mio parere interessante: se quel mondo dorato non è esente dal bisogno di ribadire che le donne vanno rispettate, che hanno diritto a equa retribuzione e che non sono alla mercè dei potenti, evidentemente lo sono a maggior ragione i nostri mondi. E infatti in #timesup si parla esplicitamente di donne di qualsiasi età, provenienza etnica, culturale, orientamento sessuale e contesto lavorativo.

A dire la verità, però, il focus non è o non dovrebbe essere il movimento di protesta, ma ciò che gli sta dietro, ovvero una rinnovata ondata femminista che – con la velocità e pervasività tipica dei nostri giorni iperconnessi – sta attraversando il mondo, arrivando anche laddove forse nemmeno speravamo potesse. Segnali incoraggianti arrivano dalle zone del mondo in cui le donne sono maggiormente sottomesse al potere maschile: in Iran il capo della polizia di Teheran ha fatto sapere che l’approccio alle donne che non seguono le regole islamiche su vestiario e comportamento sarà ammorbidito, mentre è di qualche mese fa la notizia che in Arabia Saudita le donne possono finalmente guidare l’automobile. Sono certamente piccolissimi passi avanti, da inscrivere in un quadro complessivo tutt’altro che positivo,  ma vanno registrati e messi insieme al vasto movimento di opinione del mondo occidentale che sembrava così lontano dalla repressione femminile e che pure ha svelato il proprio vero volto e quanto c’è ancora da fare. Intanto l’Islanda, prima nazione del mondo, ha varato una legge che obbliga aziende pubbliche e private a pagare pari stipendi ai dipendenti maschi e femmine che svolgono le stesse mansioni. Sembra assurdo dover stabilire per legge l’equità salariale, eppure è una reale innovazione, basti pensare che in Italia la differenza è del 5,5% (ottimo risultato considerato che la media europea è oltre il 16%, fonte Eurostat-Istat “La vita degli uomini e delle donne in Europa”).

Perfino il cinema si è accorto che il 2017 è stato l’anno delle donne: i tre campioni d’incassi americani dell’anno appena trascorso hanno infatti tutti per protagonista una donna: Wonder Woman, La bella e la bestia e Star Wars, cosa che non era mai avvenuta prima, almeno da quando si registrano i guadagni al botteghino.

Mettendo insieme tutti i segnali, grandi e piccoli, riusciamo forse a guardare con particolare ottimismo a questo 2018 appena cominciato: il tempo è davvero giunto perché le donne riescano a valorizzare l’eredità ricevuta per le sfide del presente e orientare insieme l’azione per un cambiamento reale, per tutte? Unite, forse, davvero sì.