Il Cerchio magico: Le accuse di Crepet e la sfida dei genitori

Ammetto di non aver mai provato istintiva simpatia per Paolo Crepet, psichiatra e scrittore, ospite frequente dei salotti televisivi; ma ultimamente all’antipatia si è aggiunto il profondo fastidio per le parole che da qualche settimana continua a ripetere in tv e interviste ai giornali sul rapporto genitori-figli. Il nodo  della sua riflessione (in estrema sintesi) è che i genitori siano buonisti, lascino decidere tutto ai figli, venerati come piccoli Budda, e che per questo i ragazzi crescano incapaci di accettare le frustrazioni e da qui i problemi scolastici, i docenti non rispettati  etc etc. una tesi non nuova peraltro.

Ebbene, superando i complessi che possono venire dal contraddire persone tanto titolate, vorrei dire che a mio parere anche se questo genere di riflessioni non sono del tutto sbagliate sono però inutili e dannose.

Avevo già scritto in questa rubrica (qui) dei no che in realtà abbondano sulle bocche di noi genitori, stretti tra i tempi del lavoro e le nostre legittime esigenze di persone, no che ci portano spesso a sottrarci al giocare con i nostri figli, al dedicare loro il tempo lento del quale avrebbero bisogno, ma quello che oggi mi preme dire è quanto sia poco onesto intellettualmente giudicare e condannare i genitori, così senza appello. Denigrare i genitori sembra ormai uno sport nazionale e, da genitore, comincio ad esserne stufa.

Innanzitutto un rilievo metodologico: come si può considerare “i genitori italiani” come una categoria di analisi, quando è chiaro che all’interno di questo macro gruppo non esiste altra caratteristica comune che quella di aver generato (cosa che coinvolge buona parte della popolazione) ed essere di cittadinanza italiana? È assurdo! Anche volendo distinguere per coorti e considerando solo i genitori con figli nati entro il 2000, quindi con figli minori, la variabilità è tale che qualunque generalizzazione farebbe ridere in ogni circostanza.

Detto questo e venendo alla sostanza del discorso la genitorialità oggi è questione molto complessa, fino a pochi decenni fa quasi non se ne parlava, la si esercitava in maniera irriflessa; ma una volta usciti dai modelli familiari tradizionali, si sono dovuti cercare altri appigli che orientassero nell’opera difficilissima dell’allevare i figli e questi sono venuti da varie parti: dalle istanze del consumismo crescente, dagli orientamenti di valore personale e familiare, religioso… i genitori rimasti soli nel loro compito, senza supporto della famiglia allargata già da una generazione e quindi con ormai lontani anche nel ricordo i suoi cardini educativi, stanno navigando a vista, cercando di tenere insieme elementi in forte tensione tra loro: un mondo del lavoro estremamente richiedente, una nuova consapevolezza riguardo ai bisogni dei bambini, un ‘istituzione – quella matrimoniale – in forte crisi e quindi non più in grado di offrire la sicurezza che dava un tempo.

Che da questa situazione estremamente complessa emergano fragilità ed errori è normale, così come è normale che una generazione (gli attuali 30-40enni) che non ha mai trovato una piena collocazione nella società degli adulti, con lavori stabili e prospettive a lungo termine, fatichi più delle precedenti ad esercitare una forte assertività nel rapporto con i figli. Ha senso, in questo quadro così sinteticamente descritto, lanciare strali contro i genitori mollaccioni rovina dell’Italia? È utile, costruttivo, sensato? A mio parere no. Quello che occorre è innanzitutto sostenere i genitori, in tutti i sensi, soprattutto da parte degli esperti, aiutarli a comprendere la portata storica del cambiamento nel rapporto genitori-figli che stanno vivendo sulla loro pelle e aiutarli a rifletterci, offrendo strumenti accessibili. Tutto il resto sono slogan e chiacchiere da bar.

E un’ultima riflessione: la dinamica oppositiva scuola-famiglia per la quale ci si lancia reciprocamente accuse non porta da nessuna parte e ferisce la relazione, una relazione fondante per uno sviluppo sano del bambino. Se è giusto denunciare i casi limite, non bisogna però concentrarsi su quelli elevandoli a paradigma: quello che conta sono i bambini e il futuro di questo mondo, rispettiamoci e alleiamoci per il loro bene!