Il Cerchio magico: Razzismo e Balotelli…

Qualche giorno fa ho visto un bel documentario realizzato dall’associazione “Genitori si diventa” onlus, nel quale alcuni figli adottivi raccontavano la loro esperienza con razzismo e pregiudizio. Questi ragazzi, italiani quanto chiunque altro, si sono trovati nel corso della loro vita a confrontarsi con il fatto che i loro tratti somatici avevano delle implicazioni inaspettate, che andavano insomma a impattare con il modo in cui erano percepiti dagli altri e questo si è tradotto in pregiudizi, insulti, emarginazione con conseguenti percorsi sofferti per accettarsi e trovare la forza di non restarne schiacciati.

Questo documentario, che consiglio a tutti di guardare, mi è tornato in mente domenica quando Mario Balotelli è stato vittima (ancora una volta) di insulti razzisti e ho sentito o letto commenti del tipo “allo stadio si insultano tutti, il razzismo non c’entra” da parte di persone qualunque, fino al “lui non sarà mai del tutto italiano”. Ebbene – fatte le debite proporzioni – in entrambi questi ragionamenti io vedo lo stesso strisciante problema di rimozione: nel primo caso il non voler vedere che il razzismo è cosa diversa dall’insulto, nel secondo caso il negare a una persona che ha la piena cittadinanza italiana la sua appartenenza al nostro Paese per il colore della sua pelle… roba da brividi.

Il problema del razzismo, si capisce bene, è prima di tutto un problema di riconoscimento: si annida nella tendenza comune, profonda e radicata di valutare le differenze come migliore/peggiore. È il peccato di Caino che, incapace di accettare la diversità del fratello la percepisce come favore divino a suo discapito e ha bisogno di ucciderlo per toglierselo dalla vista. Il razzista ha bisogno di svalutare l’altro, aggrappandosi alle diversità somatiche o cromatiche, per salvare sé stesso, per il bisogno ruggente di sentirsi migliore di qualcuno. Schiacciare gli altri per poter salire di un gradino.

Siamo tutti esposti a questa tentazione e riconoscerlo non è semplice, perché costringe a scavare in un lavoro mai finito ed è per questo che trovo molto saggio chi ha detto che per essere antirazzista non è necessario essere perfettamente puri e scevri da pensieri razzisti (chi lo è?), ma non stancarsi di riconoscere e combattere il razzismo in sé stessi… e questo vale allo stesso modo per il maschilismo e altri sciagurati ismi.

In questi giorni nei quali abbiamo assistito al rifiuto di parte del parlamento di alzarsi per applaudire Liliana Segre e di votare per l’istituzione di una commissione sui reati di odio da lei promossa, anche le piccole prese di posizione contano, perché dal lavoro sottile di riconoscere il razzismo dentro di noi passano gli anticorpi che ci eviteranno di doverlo affrontare nelle leggi e nelle politiche del Paese.

Paola Lazzarini