Il Cerchio magico: la violenza ostetrica

Nei giorni scorsi sono stati resi pubblici i risultati dell’indagine nazionale “Le donne e il parto” realizzata dalla Doxa per conto dell’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica in Italia, condotta su un campione di 5 milioni di donne italiane, di età compresa tra i 18 e i 54 anni, con almeno un figlio di 0-14 anni, ricerca voluta e condotta dopo un lungo lavoro di raccolta di testimonianze portate alla luce dal movimento #bastatacere.

Ciò che emerge è gravissimo: il 41% delle donne intervistate ha lamentato la “lesa dignità e integrità psicofisica” durante travaglio e parto, in particolare è stato messo in luce come la pratica chirurgica dell’episiotomia che l’OMS definisce “dannosa tranne in rari casi” sia praticata in maniera massiva e che più della metà delle partorienti che l’hanno subita non abbiano avuto modo di esprimere il consenso informato. Oltre all’episiotomia ciò che si lamenta è l’impossibilità di vivere il parto con protagonismo, esprimendo scelte attive (ad esempio sulla posizione da assumere nel momento dell’espulsione), ma anche – nel periodo immediatamente successivo – la carenza di sostegno nell’avvio dell’allattamento al seno.

Quando nel marzo scorso avevamo organizzato un seminario sullo stress legato alla gravidanza e al parto all’interno della rassegna “I giovedì della salute” promossi dal Polo Universitario Astiss, erano già emersi alcuni di questi nodi irrisolti e in particolare la dottoressa Adriana Caprioglio, ostetrica, nel suo intervento aveva messo in luce con grande schiettezza queste questioni. La dottoressa Caprioglio affermava che nel momento concreto del travaglio e parto la donna non riesce sempre a far prevalere la propria volontà sul contesto, lo staff sanitario infatti può remare in direzione contraria rispetto alla volontà della partoriente e in questo caso il vissuto sarà quello di una “espropriazione”. Quando non di vera violenza, come appare ora da questa indagine.

Il neonatologo e pediatra americano Marsden Wagner, per quindici anni direttore del Dipartimento materno-infantile dell’Ufficio europeo dell’OMS, diceva “In ogni società, il modo in cui una donna partorisce e il tipo di assistenza che viene dato a lei e al piccolo sono indicativi dei valori culturalmente dominanti” e allora di quali valori ci parlano i parti descritti in questa ricerca? “Di una società tecnocratica e di un corpo della donna costruito socialmente, normalizzato, sottoposto a pratiche routinarie che lo rendano controllabile”  afferma la sociologa Paola Borgna. La donna in sala parto, nel momento della sua massima espressione di potenza fisica, viene dunque depotenziata e ridotta a “paziente”, corpo-oggetto passivo, obbediente.

Ora è interessante vedere come reagirà il SSN a questi dati: se segneranno l’occasione per mettere in discussione pratiche consolidate o se ci si trincererà nello slogan ormai abusato “la scienza non è democratica” per zittire tutto. Intanto l’11 marzo del 2016 è stato depositato un disegno di legge dal titolo “Norme per la tutela dei diritti della partoriente e del neonato e per la promozione del parto fisiologico” che prevede tra le altre cose il reato di violenza ostetrica punibile con la reclusione da due a quattro anni… sarebbe auspicabile non dover arrivare a tanto.