Il Cerchio magico: pro e contro del congedo di paternità

Recentemente sono stati resi pubblici i risultati di un’indagine condotta in Spagna sugli effetti dell’introduzione delle due settimane di congedo di paternità avvenuto nel 2007, raddoppiato nel 2017 e ulteriormente prolungato di una settimana nel 2018; una misura accolta con grande entusiasmo dagli spagnoli che hanno scelto di chiederlo nel 55% dei casi, nel primo anno di vita dei figli. I risultati dell’indagine hanno rivelato che se da un lato l’effetto di questa politica ha portato proprio dove si sperava, ovvero ad una migliore distribuzione del carico di cura sui due partner e un maggior numero di donne che riescono a restare nel mercato del lavoro, dall’altro – però – si è verificato anche un effetto inatteso. Ci si è resi conto, infatti, di una tendenza nelle famiglie in cui i padri avevano usufruito del congedo nel fare meno figli rispetto alle altre. Nello studio pubblicato sul Journal of Public Economics (paywall), gli economisti Lídia Farré dell’Università di Barcellona e Libertad González dell’Università di Pompeu Fabra affermano che dopo l’istituzione del congedo di paternità, i sondaggi tra gli spagnoli dai 21 ai 40 anni, hanno mostrato che desideravano meno figli di prima. L’ipotesi di Farré e González è che trascorrere più tempo con i figli, o la prospettiva di doverlo fare, potrebbe aver reso gli uomini più consapevoli degli sforzi e dei costi associati alla crescita dei figli modificando le loro preferenze.

Si tratta di una misura che in Italia non immaginiamo neppure, fermi come siamo ai 5 i giorni di congedo obbligatorio previsti per i neo papà, ai quali si aggiunge un ulteriore giorno di congedo facoltativo che è possibile richiedere previa rinuncia di un giorno di congedo da parte della madre, eppure è interessante rifletterci anche perché sembra contraddire la tendenza ad esempio svedese che vede l’impegno paterno nella cura andare di pari passo con una crescita del numero dei figli. Forse questo ci parla di una paternità “mediterranea” (noi siamo certamente più vicini agli spagnoli che agli svedesi) ancora da acquisire pienamente, dopo i movimenti del secolo scorso che hanno ridefinito il rapporto tra i sessi e il posto delle donne nella società, pur con tutta l’incompiutezza di questo processo. Insomma una paternità che stenta sulla strada della corresponsabilità e per questo è tentata dalla resa e dalla rinuncia.

Come saranno i padri di domani è una delle grandi domande di questo tempo incerto: c’è da augurarsi che – evitando di rifugiarsi nel passato e nella nostalgia per la famiglia patriarcale – non si appiattiscano però neppure sulla modalità materna di cura e accudimento, ma trovino il modo di esprimere pienamente la propria funzione progettuale e di inserimento nella società in un modo nuovo, creativo, vitale. Avere del tempo da trascorrere con i figli – non solo neonati – è senz’altro una delle condizioni necessarie perché questa metamorfosi si compia.

Paola Lazzarini