22 febbraio: un anno a tu per tu con il coronavirus nell’Astigiano

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Se dovessimo puntare le lancette dell’orologio sul momento in cui tutto iniziò, queste dovrebbero essere messe sulle 14 di sabato 22 febbraio 2020. A quell’ora, in quel giorno, la nostra vita è cambiata: Asti per la prima volta fece i conti con il Covid.

Quel giorno, poco dopo l’ora di pranzo, infatti, arriva la notizia che nessuno si aspettava: sospetto caso di Coronavirus all’ospedale di Asti, il pronto soccorso deve essere sgomberato per permettere l’arrivo del paziente. Cristallizzato sullo smartphone ho ancora il messaggio arrivato dalla fonte che mi avvertiva come da lì a poco tutto sarebbe cambiato: quel virus che spaventava il mondo non era solo più un film di fantascienza cinese visto al telegiornale, non era un focolaio scoppiato nella bassa lodigiana che ancora molti si affrettavano a circoscrivere, o a minimizzare. No, il coronavirus era tra noi, a pochi passi, camminava probabilmente sulle nostre gambe, tra le nostre vie e le nostre piazze. Il cronista si ricorda la telefonata affannata alla redazione, l’altrettanto affannata risposta del direttore, la decisione di pubblicare il lancio in rete, le notizie che vanno poco a poco a comporsi: poco prima, infatti, la Prefettura annulla la MonferRun, mezza maratona che si sarebbe dovuta disputare tra Nizza e Canelli. Sarà la prima di tante, anzi, sarà la prima di tutte.

Poco dopo si saprà che la sospetta paziente, di Valenzani, aveva partecipato alla mezza maratona di Portofino a cui aveva preso parte il paziente 0, Mattia di Codogno, che poi scopriremo 0 non sarà.
Le notizie si rincorrono, come un puzzle adrenalinico. E l’adrenalina è quella che pervade noi giornalisti, alle prese con una storia che già sappiamo trasformarsi da lì a breve in una bomba, una bomba che non sappiamo maneggiare perchè, come i medici, noi questa cosa non l’avevamo mai vista.

Il pomeriggio scorre in una ridda di voci: ogni ambulanza, ogni paziente febbrile è un sospetto caso di Coronavirus. Poi alla sera arriva la smentita: tampone negativo, la paziente di Valenzani non ha il Covid. Poco importa, perchè da lì a poco nasce il cluster di Alassio, gli anziani del soggiorno marino che diventano il primo bacino di casi astigiani (o meglio, quelli ufficialmente accertati). Poi il cluster si sposta a Portacomaro, poi la zona rossa ad Asti, con le dirette notturne di un sindaco furibondo. Poi arrivano i DPCM, il lockdown, la Pasqua sul balcone, la ripartenza, l’estate del “non c’è n’è Coviddi”, la seconda ondata, le zone rosse, le varianti, i vaccini, una pandemia che ancora è tra noi ma che ormai non è più emozione o apprensione, ma noia e malsopportazione.

Ad Asti il virus ha colpito tanto, ha colpito duro, non c’è Rsa che non abbia contato i suoi morti e forse non c’è famiglia che non conosca un caso positivo. Ma forse, come è umano che sia, ci siamo adattati al virus prima di quanto lui si adattasse a noi. Il bollettino della sera non è più la tromba dell’Apocalisse, fedeli alla massima staliniana i numeri quotidiani dei nuovi contagi non sono tragedie, ma statistica.

Ma quel 22 febbraio rimane: quel 22 febbraio è per noi come la pillola di Matrix, ci ha risvegliato dalle nostre vite e ci ha catapultato in un mondo terribile. Ma anche in Matrix, alla fine, le luci riescono a penetrare la coltre di nubi: abbiamo passato tanto, non sarà quel poco che abbiamo di fronte a spaventarci.


Nella foto, Piazza San Secondo deserta durante il primo lockdown.

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