Lettere al direttore

Marco Castaldo: “L’oblio di Alika e la mancanza del senso di appartenenza alla Comunità”

Più informazioni su

Riceviamo e pubblichiamo.


L’oblio di Alika

Era una delle tante magnifiche estati trascorse nel solito campeggio della Liguria, negli anni 80 dove migliaia di cittadini stranieri si riversavano a frotte. Avevo circa otto anni e allora, nonostante la mia già evidente disabilità, riuscivo a camminare grazie all’aiuto di due tripodi (una sorta di bastone a tre piedi) che mi permettevano di muovermi in autonomia, o quasi. Si sa, i bambini, a quell’età e non solo, sono curiosi e alcuni di loro anche un po’ “cattivelli”. Un amichetto, si fa per dire, aveva cominciato a giocherellare con un mio treppiede e a prendermi in giro circa la mia andatura; io mi sentivo in imbarazzo perché, nonostante già allora fossi abbastanza capace di auto proteggermi, la presenza di altri bambini e bambine mi tratteneva dall’essere perentorio nei confronti del mio fastidioso interlocutore. Un bambino belga ben più piccolo di noi, osservando e intuendo l’imbarazzo, andò a chiamare il papà che si presentò sulla scena in maniera molto tranquilla ma, altrettanto risoluta; riempì dei palloncini d’acqua e cominciò a fare a gavettoni con i ragazzini presenti, incluso il mio “disturbatore” che si ritrovò ben presto quasi zuppo. Il papà belga prese un mio treppiede e cominciò ad usarlo per ripararsi dai proiettili d’acqua e tutti gli altri bambini lo imitarono. Al termine del bagno collettivo questo papà disse al bambino: “hai visto che tutto può diventare diverso da quello che sembra?”

Due giorni fa un uomo debole è stato ucciso da un altro suo simile, altrettanto debole. Ciò che ha ucciso il primo e sconvolto per sempre la vita del secondo non è l’odio razziale, neppure l’evidente male psichico dell’aggressore, probabilmente neanche la povertà materiale e culturale che pervade le nostre vite. Quello che ha ucciso Alika e che uccide tutti noi, ogni giorno, è la mancanza del senso di appartenenza alla Comunità, quella con la “C” maiuscola, quella della civiltà umana di cui facciamo parte, molto spesso indebitamente perché il mondo animale ci risulta addirittura più comprensibile nei suoi comportamenti, talvolta anche molto violenti, ma mai pavidi ed immotivati.

La responsabilità comune parte dall’educazione dei fondamentali principi secondo cui la mia libertà comincia dove finisce la tua, il mio benessere è legato inevitabilmente al benessere della società in cui vivo, il rispetto delle regole non è una questione che riguarda il singolo, bensì la pluralità. Purtroppo stiamo subendo il mutamento istintuale che non spinge più l’essere umano ad intervenire nei contrasti per prevenirli, ma solo per denunciarli, quando va bene.

La ragazza fa il video dell’aggressione allo scopo di consegnarlo alla polizia dimostrando senso di giustizia e sensibilità, ma non interviene direttamente per evitare la tragedia. La politica interviene con le solite stanche dichiarazioni, quasi sempre più sollecitate e sempre meno spontanee. La società civile non reagisce quasi più neanche alle sollecitazioni degli intellettuali, se mai ne esistono ancora…

È qualcosa di più intrinseco, di più radicale; non è solo il cambiamento del comportamento sociale, ma il vero e proprio stravolgimento del DNA umano. Non so se sia scientificamente plausibile una tale modifica genetica, ma io la trovo così evidente da far sembrare il comportamento di quel papà in quel campeggio, così anomalo ed incomprensibile per la maggior parte degli uomini e delle donne che oggi dovrebbero occuparsi di insegnare ai propri figli il senso del vivere comune e del rispetto della vita perché l’educazione non è una questione che riguarda solo i genitori e i propri figli, ma i figli di tutti noi!

Marco Castaldo

Più informazioni su