Lavoratori stagionali introvabili: pesano bassa remunerazione e sussidi pubblici

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L’estate dei record include la voce “stagionali” nella categoria dei lavoratori
introvabili. Alle temperature metereologiche che accompagnano una bollente campagna elettorale si
affiancano le perduranti difficoltà degli imprenditori del comparto turistico e ristorativo nel reperire
i lavoratori in numero utile per affrontare la maggiore domanda legata alla bella stagione e al suo
picco di Ferragosto. A fronte di una richiesta di quasi 50mila lavoratori stagionali, il 46% risulta
introvabile (circa 22mila). Ma non è l’unica criticità. Il datore di lavoro che riuscisse nell’impresa di
reperire cuochi e camerieri, si troverebbe alle prese, in fase di assunzione, con una corposa
informativa da compilare e trasmettere al lavoratore, come prevede il decreto Trasparenza (D.L. n.
104/2022) di recepimento della Direttiva comunitaria 1152/2019 che produrrà i suoi effetti proprio
alla vigilia di Ferragosto. Il fenomeno della carenza di profili, monitorato dalla Fondazione Studi
Consulenti del Lavoro, costituisce una tendenza che caratterizzerà il mercato del lavoro nei prossimi
sei mesi e che rischia di far mancare all’appello 1 milione e 350mila lavoratori entro il 2026, a fronte
di una domanda di 4,3 milioni di posti da occupare (cfr indagine “Il lavoro che c’è, i lavoratori che
non ci sono”). La carenza di cuochi, camerieri e addetti agli stabilimenti balneari (ad agosto la percentuale
è del 32%) rappresenta una fetta importante di un fenomeno diffuso, tuttavia, anche tra gli altri profili
(operai specializzati in edilizia, conduttori di mezzi di trasporti, tecnici dell’ingegneria) e che risulta molto
complesso e difficile da incasellare per i molteplici fattori che lo determinano. Primo tra tutti, quello
demografico: tra il 2018 e il 2021, la popolazione in età da lavoro (15-64 anni) si è ridotta di misura, con
una perdita di 636mila residenti, di cui 262mila con meno di 35 anni (-2,1%). A questo si è inoltre
aggiunta una ricomposizione interna di tale fetta di popolazione; è diminuita la componente attiva di chi
ha un lavoro e lo cerca (-831mila per un decremento del 3,3%) ed è aumentato, di contro, il numero di
quanti non lo cercano o sono scoraggiati a farlo (+194mila per un incremento dell’1,5%). Un dato
importante che certifica un fenomeno più generale di allontanamento dal lavoro che ha diverse cause, tra
cui il rifiuto di lavori a bassa remunerazione, l’aumento del numero dei percettori di sussidi pubblici,
come il Reddito di Cittadinanza, durante la pandemia o, più semplicemente, un cambiamento delle priorità
di vita che ha portato le persone a privilegiare il benessere individuale. Va considerato poi lo storico
mismatch esistente nel nostro Paese tra domanda e offerta di formazione che interviene a spiegare la
difficoltà di reperire i profili più specializzati. Secondo l’indagine Unioncamere di previsione dei
fabbisogni occupazionali e professionali a medio termine, cui attinge la ricerca “Il lavoro che c’è, i
lavoratori che non ci sono”, a partire dal 2022, il mercato del lavoro italiano potrebbe aver bisogno in
media ogni anno di circa 238mila laureati e 335mila diplomati secondari; a questi si aggiungerebbero
circa 130mila diplomati delle scuole di formazione professionale. Qualunque sia il livello considerato, la
non adeguata programmazione dell’offerta formativa rischia di creare nei prossimi anni criticità rilevanti
nei percorsi di crescita occupazionali nel Paese. “Il mancato o scarso funzionamento dei meccanismi di
matching – ha dichiarato Rosario De Luca, Presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro –
non è un fattore ininfluente, ma anzi, rischia di rendere ancora più difficile l’individuazione e il
reclutamento dei profili. C’è l’esigenza di intervenire in tempi rapidi sulle tante variabili del mercato del
lavoro perché il rischio che di qui ai prossimi quattro anni, la situazione possa diventare più critica, non è
lontano dalla realtà”, ha concluso.

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