“C’è ancora molta strada da percorrere per trasformare l’home working in smart working”

Marco Castaldo interviene a seguito del convegno organizzato dalla Cgil-Funzione Pubblica di Asti

Ieri, venerdì 18 marzo, la Cgil-Funzione Pubblica ha organizzato il convegno dal titolo: “Smart Working e digitalizzazione nella Pubblica Amministrazione. Opportunità e rischi della Rivoluzione digitale”.

Dal 1992 ad oggi la pubblica amministrazione ha notevolmente modificato il proprio modo di lavorare. Sono diminuiti gli organici, aumentate le competenze e le responsabilità e si è assistito ad un costante, anche se  non massivo, utilizzo dell’informatica nella vita quotidiana sia dei lavoratori sia degli utenti.

La pandemia ha ulteriormente accelerato questi processi, garantendo nuove opportunità ai lavoratori, attraverso il lavoro da casa, e agli utenti, che non devono più necessariamente recarsi presso gli uffici per avere risposte o documenti. Ciò che fino a ieri sembrava impossibile, ovvero portare il lavoro a casa del lavoratore, nell’arco di poche settimane è diventato realtà e migliaia di lavoratori hanno conosciuto il lavoro a distanza, l’home working.

Ma il lavoro da casa (home appunto) non è detto sia sempre smart (cioè intelligente). E’ quanto evidenzia Marco Castaldo (Uniti Si Può, Articolo Uno) che ha partecipato al convegno. “Si conosceva l’esistenza dello smart working già prima del Covid. Già nel lontano 2002, lavorando nella pubblica amministrazione, mi avvalsi di questo strumento per poter conciliare la mia attività lavorativa con la necessità di disporre di una confort Zone ancor più indispensabile per una persona portatrice di disabilità. Già allora, mi accorsi dei rischi di questa nuova modalità di intendere il lavoro”.

Quali sono i rischi? “Nell’immaginario comune  – continua Castaldo – si pensa che chi lavora da casa, in realtà, lavori poco e con poca attenzione, mentre accade esattamente il contrario perché i tempi del lavoro si mescolano facilmente con i tempi del riposo o di libertà, aumentando la produttività e diminuendo fatica e stress. Esistono anche altri rischi quali l’esasperato isolamento e la conseguente impossibilità di acquisire competenze e capacità di interazione e collaborazione con colleghi e figure professionali.

Lo smart working se non è proposto nelle migliori condizioni può generare differenze tra cittadini di serie A e serie B. Tra uomini e donne per esempio con il cosidetto gender gap per cui la donna rischia di essere maggiormente penalizzata nell’ambito della gestione dei tempi del lavoro e della famiglia. Tra cittadini che non hanno uguale accesso infrastutturale: si parla in questo caso di digital divide determinato dal fatto che i territori non sono serviti ugualmente dalla banda larga impedendo, di fatto, a quegli abitanti di accedere allo strumento in questione.

“Ma esiste anche quello che potrebbe essere definito ability gap, ovvero la non accessibilità delle piattaforme informatiche e telematiche da parte delle persone portatrici di diverse disabilità – aggiunge CAstaldo – Purtroppo, ancora oggi, dopo innumerevoli disposizioni legislative, buona parte dei siti Web e dei relativi servizi telematici non risultano completamente fruibili da tutti allo stesso modo. Pensiamo agli ipovedenti oppure a coloro che hanno difficoltà ad utilizzare i sistemi di puntamento convenzionali. Per queste persone, lavorare da casa, potrebbe essere una grande occasione di integrazione professionale se ci fosse la corretta sensibilità e filosofia nella progettazione degli strumenti informatici, senza dimenticare comunque l’importanza della integrazione e dell’interazione con gli altri soggetti che compongono la società attiva e produttiva del Paese”.

“C’è ancora molta strada da percorrere per trasformare l’home working in smart working e digitalizzare non significa semplicemente trasformare il dato analogico in digitale, bensì pensare ed ingegnerizzare soluzioni e piattaforme informatiche per fornire servizi a tutti i cittadini che siano di facile utilizzo, indipendentemente dall’età, dalle condizioni fisiche e che non siano rivolte unicamente ai nativi digitali” conclude Castaldo.

Nuove opportunità potrebbero arrivare dal PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) che ha indirizzato nuove risorse per garantire la trasformazione digitale delle pubbliche amministrazioni, coinvolgendo tutti i settori della PA: enti locali, enti statali, sanità. Questo è emerso nel confronto tra enti, politica e sindacato di ieri e che ha avuto tra i relatori: Gianni Dominici, direttore generale Forum PA; Alessandro Berruti, direttore INCA CGIL Asti;  Flavio Boraso, direttore generale ASL AT; Sergio Fossati, direttore ITL Asti – Alessandria; Fiorenzo Prato, direttore INPS Asti; l’On. Federico Fornaro, capogruppo LEU Camera dei Deputati; l’On. Riccardo Molinari, capogruppo Lega Camera dei Deputati; Serena Sorrentino, Segretaria Generale FP CGIL.

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