Lettere al direttore

Marco Castaldo: “Se sembra impossibile, è perché il più delle volte così è!”

Riceviamo e pubblichiamo


Mia nonna materna era solita incitarmi con la stessa frase: “Se vuoi, ce la fai!”, ma le mie gambe non mi reggevano, il mio braccio non si estendeva, non riuscivo a stare in equilibrio… Eppure si: ce la volevo mettere proprio tutta, non tanto per dimostrare la mia forza agli altri, ma semplicemente per essere come tutti gli altri.

Da allora ho capito che per raggiungere certi obiettivi, purtroppo la volontà non basta, ma occorrono i presupposti oggettivi e le condizioni che questi possano essere perseguiti. Cara Bebe, tu hai potuto raggiungere grandi successi nello sport a livello mondiale grazie, prima di tutto, alle cure mediche moderne e alle grandi professionalità in campo sanitario potendovi accedere tempestivamente e ai massimi livelli di qualità, poi hai avuto la migliore riabilitazione possibile insieme ai migliori ausili tecnologici e, infine, la forza d’animo dettata dal tuo carattere battagliero. Ci aggiungerei anche una certa botta di fortuna (o grazia di Dio, destino, karma… Quello che preferisci).

Sono contento per i tuoi successi personali e comprendo anche bene la soddisfazione e l’orgoglio di essere ricevuta al Parlamento europeo come “talento”, simbolo della resilienza e della rinascita a seguito della pandemia, ma sinceramente, e non certo per invidia, ne ho le tasche piene di vedere rappresentata la disabilità in maniera populista, demagogica e perbenista.

Mi auguro che durante la cena insieme alla Presidente Ursula tu ti sia premurata di far presente la situazione degli altri milioni di disabili nel continente europeo e nel mondo che ogni giorno devono affrontare una realtà diversa da quella di una atleta paraolimpica. I disabili “convenzionali”, infatti, oltre a combattere contro la loro stessa “malattia” devono fare i conti ogni giorno con un sistema sanitario non certo all’altezza della situazione, con cure domiciliari deficitarie, con politiche di inclusione sociale/scolastica/lavorativa scarse o assenti, con sostegni per l’autonomia e la scelta di una vita indipendente quasi inesistenti. La maggior parte dei portatori di disabilità sono a totale carico delle famiglie che supportano e sopportano con gravi difficoltà economiche, fisiche e psichiche il fardello di una vita “amputata” di tutti i componenti della famiglia.

Se invece, durante la cena, avete parlato del mondo patinato dello sport olimpico, del clima di Tokio, delle tue grandi potenzialità e della carbonara che farai assaggiare alla Presidente Ursula quando verrà a casa tua, allora ti dico con tutto il cuore che tu non stai facendo affatto un “buon servizio” alla tua “categoria” e che io, in qualità di disabile, non sono interessato ad essere rappresentato, e men che meno tutelato, dal tuo “talento”, ma preferisco la mia quotidiana, assidua, caparbia battaglia contro le disuguaglianze e le ingiustizie che un “normale” disabile combatte per sopravvivere agli eventi della vita; quella stessa vita che potrei decidere di voler terminare se non più degna di essere vissuta, ma che, ancor oggi, nella maggior parte del continente europeo, risulta un diritto negato.

Marco Castaldo