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Infermieri, storie astigiane di un lavoro speciale: “In Pediatria l’assistenza è un’arte”

Continua il viaggio di ATnewsKids, l’ATnews per ragazzi, alla scoperta della professione dell’infermiere, attraverso le voci delle protagoniste e dei protagonisti astigiani.

Dopo Erika Mozzato, infermiera in Cure palliative, e Veronica Dumitrescu, infermiera 118, conosceremo Enrico Mirisola, infermiere pediatrico all’ospedale Cardinal Massaia di Asti, reparto Pediatria.

Cosa significa essere infermiere e perché hai scelto questo lavoro?
Mrs Nightingale [infermiera britannica, considerata la fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna, nata il 12 maggio del 1820 cui è dedicata la Giornata dell’Infermiere] narrava che “l’assistenza è un’arte”. Una frase forse banale, ma dal significato, a mio avviso, profondo ed intenso, un’affermazione inconfutabile, che passo dopo passo penetra nell’animo, tanto da divenire una convinzione portante per la carriera e la vita in generale. Assistere diventa una certezza radicata in ogni cosa. Prendersi cura delle persone e dei bambini in modo particolare, delle loro debolezze e delle loro fragilità, non è più un mestiere, un impiego, un lavoro retribuito, bensì un compito, che richiede una devozione disinteressata e viscerale ed un grande rispetto della vita.

La scelta di entrare a lavorare tra corsie e stanze di degenza è stata ed è tuttora per me un’avventura senza fine.
Si indossano divise, calzari, cartellini d’identificazione, cuffiette e guanti sterili; studiamo le scienze sociali, la storia, l’evoluzione della medicina.

Quali sono gli aspetti positivi e quelli negativi della tua professione?
Facendo l’infermiere si acquisisce pazienza e si aumenta l’autostima. Si conoscono molte persone che contribuiscono ad arricchire il nostro bagaglio, si impara a comunicare e si sperimenta un lato emozionale prima sconosciuto.

Purtroppo, però da parte della comunità c’è ancora poco rispetto del nostro profilo professionale, non ci si rende conto che oggi l’infermiere è un laureato capace di stare nel processo di cura al pari di altre figure sanitarie. Gli aspetti negativi sono la difficoltà di dimostrare il nostro valore e le competenze, che abbiamo mostrato in pandemia come prima dell’emergenza, e una retribuzione tra le più basse d’Europa a fronte della migliore formazione europea.