Lettere al direttore

Coordinamento Asti-Est: “Asti Città europea del volontariato? No Grazie, preferiamo fare la storia”

Riceviamo e pubblichiamo la lettera di Carlo Sottile, per il Coordinamento Asti-Est, relativa alla recente proposta dell’assessora Mariangela Cotto di candidare Asti, come città europea del volontariato 2023 (leggi QUI).


L’assessore Cotto, nel suo irresistibile slancio filantropico, ha annunciato l’intenzione di fare di Asti la capitale europea del volontariato. L’intenzione è ben fondata, sorretta com’è da una pratica amministrativa di lungo corso, spesso accompagnata dalle conferme dei rappresentanti delle istituzioni civili e religiose della città. L’ultima, in ordine di tempo, l’inaugurazione della nuova sede del Centro per le Famiglie, in P. Roma.

Questo reiterare di filantropia, con l’idea che i cittadini senza conto in banca possano essere solo consumatori di servizi o muti destinatari di azioni altrui, sembra essere una innocua scelta fuori tempo di un assessore che non si avvede di ciò che sta accadendo attorno all’emergenza pandemia.
E’ indubitabilmente un cambio d’epoca. Il rovesciamento di analisi e prospettiva, che realizza la Commissione Europea con il Next Generation EU (Ngeu), vale a dire l’uscita dal modello di sviluppo che ha prodotto la presente crisi economica, sociale, ambientale e sanitaria, non sollecita un di più di filantropia, piuttosto obiettivi ed azioni che garantiscano al tempo stesso equità sociale e sostenibilità ecologica.

Ora, si può dubitare delle scelte della Commissione Europea, perché cadono dall’alto di una governance che sembra voler fare a meno della democrazia liberale, avendo in ripulsa quella diretta, ma portare indietro la ruota del tempo, come fa l’assessore, quando le politiche dell’austerità e delle privatizzazioni mettevano fine al welfare novecentesco e la filantropia privata e di Stato era l’unica risposta ai gravissimi problemi sociali indotti dal neoliberismo trionfante, è una scelta, come vedremo, tutt’altro che innocua.

L’assessore sembra non avvedersi che la solitudine della povertà e della esclusione era, nel 900 e dintorni, una prerogativa di una parte minoritaria della popolazione, oggi invece è una prerogativa della società nel suo insieme. Una società dove sono andati spegnendosi, nei decenni prima della pandemia, per delegittimazione ma anche per «l’innovazione impetuosa dei modi di produrre, delle forme di vita, delle relazioni sociali» indotta dalla ennesima metamorfosi del capitalismo» (Do you remember revolution”, Paolo Virno, Toni Negri ed altri), i corpi sociali intermedi, in cui si riconoscevano operai, contadini, piccola e grande borghesia.

La disuguaglianza e l’irrilevanza sociale sono esplose in una dimensione come non si era mai vista. L’ISTAT ha stimato per il secondo trimestre del 2020 un crollo del pil senza precedenti (- 12,4%), facendo prevedere una drastica impennata della povertà. Puntualmente, tutti i rilievi delle organizzazioni non governative (Caritas, Coldiretti, Action Aid, Save the Children) che sono seguiti, hanno documentato un scivolamento sotto la soglia della povertà relativa poco meno di un italiano su quattro e al di sotto della povertà assoluta un italiano su sei.

Ebbene, tenere in ombra un fenomeno sociale di queste dimensioni, come fa l’assessore, significa covare un malessere sociale, rancoroso, che va alla ricerca del capro espiatorio e del demagogo di turno. Ancora peggio, prolungando di proposito tale situazione, caratterizzandola come emergenza, si disciplina quel malessere in modo che a nessuno venga in mente di indirizzarlo verso obiettivi di giustizia e di riconoscimento sociale.

Ma i confini di questo conflitto malamente trattenuto sono gli stessi dell’azione solidaristica e dell’atto compassionevole. Nella loro confusione, voluta o inconsapevole, si gioca il successo dell’assessore Cotto e della sua Giunta. La nostra Costituzione, agli art. 2 e 3 mette in chiaro il legame tra il dovere della solidarietà e la rimozione delle cause della disuguaglianza. Ma è ancora più illuminante il punto 116 della enciclica “Fratelli tutti”. Vale la pena di citarlo per esteso: “Solidarietà è una parola che non sempre piace; direi che alcune volte l’abbiamo trasformata in una cattiva parola, non si può dire; ma è una parola che esprime molto più che alcuni atti di generosità sporadici. È pensare e agire in termini di comunità, di priorità della vita di tutti sull’appropriazione dei beni da parte di alcuni. È anche lottare contro le cause strutturali della povertà, la disuguaglianza, la mancanza di lavoro, della terra e della casa, la negazione dei diritti sociali e lavorativi. È far fronte agli effetti distruttori dell’Impero del denaro […]. La solidarietà, intesa nel suo senso più profondo, è un modo di fare la storia, ed è questo che fanno i movimenti
popolari”.

Per il Coordinamento Asti-Est, Carlo Sottile