Lettere al direttore

Mario Malandrone: “Nuovo centro commerciale in corso Casale? Chiamatelo ‘Feudo’, vi spiego il perché”

Riceviamo e pubblichiamo l’intervento di Mario Malandrone, consigliere comunale di Ambiente Asti.


Tutte le forze politiche in campagna elettorale hanno puntato la propria attenzione sul centro storico, sul commercio delle piccole realtà, dei negozi di vicinato. Tutti abbiamo concordato  l’importanza di ridare valore al piccolo commercio. In fondo la narrazione della nostra città che vorremmo raccontare è un posto bellissimo dove si mangia e si beve bene, dove l’artigianalità e la qualità sono ancora valori che fanno la differenza, dove le nostre radici fanno parte a stili di vita, a tratti antropologici e possono essere volano per quella vocazione turistica tanto agognata. Ma cosa succede se non si trovano più gli alimentari, le botteghe. Cosa succede se la nostra città è in qualche modo accerchiata da una tendenza ad una spersonalizzazione del consumo, dei luoghi a noi cari. Questo accerchiamento è iniziato nella nostra città da ormai più di venti anni.

Sono figlio di un rappresentante di generi alimentari, tempo fa gli ho chiesto quanti piccoli negozi riforniva in città  e lui mi ha detto: “Sai mi alzavo all’alba alle 6 e tra zona est, San Rocco, Torretta e i mercati rincasavo alle 8 di sera, immagina quanti erano i negozietti che servivo in un giorno”. Io lo ricordo bene perché da bambino salivo sul camioncino con lui e esploravo i negozi dei quartieri periferici, in quegli anni anche i più popolani eppure in quei negozi c’era vita, c’era comunità.
Questo cambiamento del commercio ha mietuto vittime, le prime ad arrivare certamente quelle di negozi che non fornivano un servizio e una tipicità all’altezza di una concorrenza con prezzi più fluttuanti e con maggiore scelta. A farne la spesa le realtà non tipiche, le realtà non in grado di resistere allo stress  concorrenziale, le realtà di interi comparti le cui trasformazioni anche produttive hanno messo fuori gioco. Ci sono stati anni di ubriacatura speculativa, terreni agricoli trasformati in aree commerciali, una manna per gli intermediari, una manna per i costruttori.

Anche gli enti locali hanno potuto in qualche modo rifare strade, marciapiedi, utilizzare oneri freschi. In cambio lo spostamento del centro commerciale dal centro città alle periferie, consumo di suolo e “porte “ della città che appaiono ormai alloggi male arredati.
Dove prima c’era un negozio in piena attività, ora è molto facile trovare una saracinesca abbassata e un cartello recante la scritta “affittasi” oppure “chiuso”. L’emorragia non si è fermata, si sono persi posti di lavoro, relazioni, socialità.

Si dirà che i nuovi L2 (Superfici di grande dimensione) generano posti di lavoro, ma da indagini di mercato è chiaro che i posti di lavoro sono diminuiti, da una capacità imprenditoriale si è passati al lavoro salariato.
Il potere d’acquisto e dei consumi è calato. Ma il mondo ci vuole consumatori e se i centri storici ci vedono fare acquisti tra parcheggi in doppia fila, al centro commerciale cammini tranquillo in zone pedonali, dopo aver parcheggiato in un alienante enorme distesa d’asfalto. La crisi inoltre ha senza dubbio favorito la grande distribuzione facendo sì che il piccolo commercio in generale continuasse a perdere colpi senza trascurare che il commercio online ha dato il colpo di grazia. Se le botteghe artigiane e i piccoli negozi spariscono e i centri storici si svuotano, impoverendosi, sono le periferie ad ospitare le moderne e imponenti cattedrali del commercio.I cui sacerdoti sono un po’ tutte le amministrazioni comunali che si sono susseguite, con l’idea di creare i posti di lavoro, la cerimonia religiosa verso queste cattedrali era spesso finanziata dai proprietari di aree e da chi eseguiva il progetto di cementificazione.

I piccoli negozi e le botteghe chiudono sempre per gli stessi motivi: gli affitti strozzano, le pressioni di chi vuole subentrare diventano ogni giorno più incalzanti, la burocrazia fiscale fa impazzire. A sopravvivere sono quelle realtà che fidelizzano, che riescono a offrire ciò che la grande distribuzione non riesce ad offrire. Non c’è un sostegno se non qualche piccola iniziativa simbolica, basti osservare ciò che c’è di progettuale o le briciole da un bilancio comunale. Nulla ad arginare una progressiva spinta verso quei “grandi scatoloni”, privi di qualsiasi “bellezza architettonica”. E’ cambiato il nostro modo di aggregarci e incontrarci. La piazza è stata infatti progressivamente sostituita da questi nuovi luoghi dedicati alla socialità. Anche i nomi hanno cercato di riempire l’immaginario: “Il Borgo”, “I Bricchi” e si è spostata l’aggregazione e il flusso di denaro altrove. E se da un punto di vista “morale” tutti i politici che si sono alternati hanno detto preoccupati che c’era il rischio di impoverire e di uccidere i nostri centri, a queste riflessioni non è seguita un’azione di sostegno al piccolo commercio e se c’è stata è stata residuale rispetto ai vantaggi resi alla grande distribuzione. Non ricordiamo manco più quale Giunta decise di fare insediare un L2, in questa ubriacatura di benedizioni per l’arrivo di questi centri commerciali e grande distribuzione, E’ necessario e doveroso invertire questa rotta e muoversi per riattivare i centri cittadini, attraverso operazioni di riqualificazione e di rivalorizzazione. Invece assistiamo ad una nuova cerimonia di benedizione di nuovi centri commerciali. Il raddoppio dell’area commerciale di Corso Casale ne è un esempio, i terreni sono comunali, il cerimoniere è il Comune e so già i vantaggi che elencherà sono solo in saldo positivo: Posti di lavoro, soldi nel bilancio comunale per i terreni, oneri, lavori a scomputo degli oneri, lavoro edile, convenzioni con la città e si spingeranno a dirvi che un insieme di parallelepipedi di cemento e asfalto sono meglio di un gerbido o di un terreno coltivato. Subito dopo vi racconteranno dell’importanza della nostra storia e della nostra cultura, del centro commerciale naturale del centro città, non vi racconteranno di un modello che sta già segnando il passo in altre parti del mondo, non vi racconteranno di come usare queste cattedrali finito il loro ciclo, non vi diranno dei posti di lavoro persi, del consumo di suolo, non vi racconteranno delle ferite alla bellezza che dura da decenni delle nostre città.
Ci diranno che così è, ma noi possiamo essere critici e ribellarci e farlo votando in due modi: alle urne e con le nostre scelte e la nostra pressione.

Io propongo dopo questa ennesima scelta senza visione di dare un nuovo nome alla nuova area di corso Casale, dopo il BORGO , il “Feudo”, perché se le ricchezze e i flussi di denaro vanno altrove a qualche Imperatore,  qui nel Feudo (la nostra città)  rimangono i salari. Sta a voi scegliere in questo affibbiare nomi locali tipici a queste operazioni economiche chi sono i vassalli, i valvassori, i sacerdoti e i servi di questo sistema di cose. E’ una riflessione che vi invito a fare per creare un ponte tra il nostro glorioso medioevo e questa postmodernità smarrita.

Mario Malandrone

AMBIENTE ASTI