Lettere al direttore

Marco Castaldo: “Ripensare la città dopo il coronavirus: domotica sociale e la nuova Asti trasformata in smart city”

Riceviamo e pubblichiamo


Nell’ambito della progettazione o meglio, della ri-progettazione delle nostre vite e conseguentemente dell’ambiente in cui viviamo, a seguito della pandemia coronavirus, mi collego all’interessante contributo di Laurana Lajolo che propone un progetto articolato, interconnesso, ma fortemente radicato alle peculiarità della nostra città, Asti.

La necessità evidente di progettare nuove modalità di convivenza per tutti, ma soprattutto con particolare attenzione alle categorie fragili quali anziani, disabili e bambini, ci obbliga necessariamente a rivedere il modello attuale delle RSA dove, occorre ricordarlo, non risiedono solo persone anziane, bensì anche molti soggetti portatori di disabilità di varia natura e che hanno esigenze decisamente differenti dagli anziani, ma che, purtroppo, trovano molto raramente la soddisfazione dei loro bisogni in strutture diverse e più specializzate delle RSA stesse.
Soluzioni di co-housing strutturate come miniappartamenti con spazi di convivenza comune (piccola cucina con spazio ristoro, soggiorno, zona pasti, palestra/rieducazione motoria, giardino/area verde, infermeria, ecc.) dovranno sostituire le attuali progettazioni in forma di camerate a 4 e anche a 2 letti con accesso diretto ai corridoi. Questo tipo di progettazione permette non solo di limitare i periodi in cui convivono insieme un alto numero di persone, limitando il pericolo di contagio, ma, allo stesso tempo, si realizza anche un maggiore livello di privacy che determina una migliore qualità di vita per gli ospiti.

Progettare, costruire nuovi edifici e/o ristrutturare ambienti già esistenti, sia pubblici che privati, adottando questa nuova visione potrà e dovrà essere non solo una modalità di vita più rispettosa delle esigenze e dei diritti delle persone, ma anche un volano economico per tutta la filiera edilizia, e non solo. Per poter permettere una modalità di vita più autonoma da parte dei vari soggetti, ma comunque in piena sicurezza e con il più alto livello di assistenza possibile, diventa prioritario progettare, costruire e/o ristrutturare gli ambienti in un’ottica moderna e tecnologicamente avanzata. Entra in gioco, quindi, la domotica sociale, ovvero la possibilità di rendere gli ambienti di vita (interni ed esterni) il più possibile accessibili in termini di fruibilità e di gestione in autonomia attraverso l’utilizzo dell’informatica, della telematica e di Internet delle cose (IoT).

Quello che un tempo veniva genericamente definito come l’abbattimento delle barriere architettoniche, oggi si può declinare molto più esaustivamente attraverso la progettazione e l’utilizzo dell’interconnessione tra le reti e gli oggetti che fanno parte della nostra vita quotidiana. Aprire una porta, alzare ed abbassare una tapparella, controllare la temperatura degli ambienti e delle persone, sorvegliare luoghi e soggetti, utilizzare sensori multiuso per la rilevazione ed il controllo di acqua, gas, luce e molto altro possono diventare azioni che si possono svolgere con il semplice utilizzo della voce o con qualsiasi altro ausilio personalizzato utile alle persone per raggiungere il massimo livello di autonomia possibile e, di conseguenza, una migliore qualità di vita e un maggior livello di autostima.

I settori dell’edilizia in senso lato, pertanto, vengono direttamente interessati da questo “smart thinking” e coinvolgeranno gli ambiti di sviluppo e progettazione informatica e telematica che sono temi di studio e di realizzazione tipicamente prediletti dalle giovani generazioni che grazie, anche, alla flessibilità che offre lo smart-working troveranno sbocchi estremamente interessanti per le loro professionalità. Nuove figure professionali altamente qualificate ricopriranno ruoli fondamentali e questo andrà a beneficiarne tutto il tessuto economico del territorio.

Gli istituti tecnici di formazione del territorio e l’Università astigiana potrebbero svolgere una importante funzione propulsiva di tipo formativo e di sperimentazione strutturando e progettando corsi di studio in quest’ambito, ma anche realizzando veri e propri progetti pilota e ambienti di sperimentazione attraverso l’utilizzo temporaneo di edifici dismessi o inutilizzati di cui si parla anche nel contributo di Laurana. Ricordo un’interessante esperienza formativa e di sperimentazione pratica realizzata dagli studenti dell’Istituto Tecnico Quintino Sella di Asti che, qualche anno fa, con la mia collaborazione realizzarono in due ambienti inutilizzati dell’Istituto stesso una simulazione di miniappartamento dotato di molteplici soluzioni domotiche per il controllo e la gestione degli ambienti.

Le conoscenze, le esperienze e le figure professionali formate sul territorio potrebbero diventare un’eccellenza e mettere a disposizione il know-how acquisito per allargare il fronte prospettico dell’applicazione di tali materie nell’ambito della cultura, del turismo, dell’ambiente, della viabilità e della green economy, fornendo sbocchi di lavoro a molti giovani e trasformando questo territorio in una zona con un alto livello di attrazione per quello che concerne la new technology.

Il passo immediatamente successivo, infatti, è la trasformazione della città in una smart City, ovvero quell’ambiente in cui le nuove tecnologie delle reti e dei big-data permettono il controllo della gestione di tutti gli aspetti della vita dei cittadini nell’ottica di una migliore qualità di vita in termini di fruibilità dei servizi pubblici (trasporti, viabilità eco sostenibile, risparmio energetico, riqualificazione degli spazi urbani, progettazione di aree verdi con funzione sociale), ma anche di un nuovo modo di poter fruire delle bellezze architettoniche e delle attrattive turistiche della città attraverso, ad esempio, la digitalizzazione di musei, opere architettoniche, piazze, luoghi di interesse culturale.

La pandemia del Covid-19 ci ha insegnato e anche obbligato a pensare di poter fruire degli spazi e dei servizi della città in un modo completamente diverso. Il modo giusto per poter sfruttare al meglio ciò che di fatto è stata, ed è ancora, un evento negativo e una tragedia per molti di noi è dimostrare a noi stessi che abbiamo le capacità di trasformare il nostro modus vivendi, ma soprattutto il nostro modus cogitandi, formulando prospettive di innovazione strettamente legate ai servizi e al benessere delle persone.

Le fondamenta delle smart Cities sono la progettazione e la condivisione dei processi di ingegnerizzazione dei servizi attraverso il modello di consultazione “bottom-up”, ovvero i cittadini esprimono le loro esigenze all’amministrazione pubblica per la realizzazione dei relativi servizi. Questo processo ha come premessa fondamentale il principio della democratizzazione delle dinamiche decisionali e, probabilmente, se vogliamo davvero rinnovarci e innovarci occorre che tutti gli “stakeholders” del territorio siano disponibili al dialogo e al riconoscimento delle competenze sia in ambito strategico che politico.

Marco Castaldo