“I luoghi di cura sono stati luoghi di contagio”: un sondaggio mette in luce la mancanza di tutele per i sanitari

Nursind e Anaao offrono un'analisi di come sono andate le cose in Piemonte per gli infermieri e i medici durante l’emergenza covid-19

Da quasi tre mesi sono in prima linea nel combattere il coronavirus. A sostegno e a riconoscimento del loro lavoro sono stati pubblicati video, canzoni e addirittura realizzati flash mob (molte le iniziative anche nell’Astigiano di cui abbiamo parlato sul nostro giornale).

Ma qual è la reale situazione in cui hanno dovuto lavorare i sanitari in Piemonte? Medici e infermieri (per cui ieri è stata celebrata la Giornata internazionale) sono stati tutelati? E le loro famiglie? Sono stati sufficientemente informati e formati? I dispositivi medici sono stati subito utilizzati e sono stati adeguati?

Un’analisi di come sono andate le cose in Piemonte per gli infermieri e i medici del sistema sanitario regionale durante l’emergenza Covid-19 è stata presentata da Nursind, il sindacato delle professioni infermieristiche e da Anaao, il sindacato dei medici ospedalieri, a seguito della diffusione di un sondaggio. E i risultati non sono rassicuranti.

“Abbiamo raccolto dati che fotografano come sia saltato lo stato di diritto a scapito della salute dei professionisti sanitari tra leggi e disposizioni sia nazionali che regionali “ dichiarano Francesco Coppolella, segretario regionale NurSind Piemonte e Chiara Rivetti, segretaria regionale  Anaao Assomed Piemonte.

Al sondaggio, aperto dal 27 aprile all’8 maggio, hanno risposto 1930 operatori sanitari, rappresentativi di tutte le ASL e degli Ospedali del Piemonte. Di questi il 70% sono infermieri, il 16.5% medici e l’8% oss. Gli intervistati per l’Asl di Asti sono stati 121.

“Il 79% dei responders al sondaggio lavora o ha lavorato nei reparti Covid e il 59% ha fatto il tampone. L’1,83% dei sintomatici e il 3,14% dei contatti stretti senza protezioni non l’ha invece purtroppo eseguito. L’indicazione ad eseguire il tampone è stata per il 22% il contatto stretto senza le adeguate protezioni con colleghi, per il 34,4% il contatto stretto con pazienti. In tutto, oltre 56% degli operatori ha eseguito l’esame per contatti stretti in carenza di protezione – sintetizzano Coppolella e Rivetti – Questo dato è significativo della grave difficoltà, soprattutto nelle prime settimane del contagio, di ottenere adeguati DPI. Fatto che, come da noi ripetutamente sostenuto, ha trasformato i luoghi di cura in luoghi di contagio”.

Il sondaggio ha fatto emergere diverse problematicità.

Sanitari esclusi dalla quarantena preventiva
Il 77% degli operatori ha continuato a lavorare in attesa dell’esito del tampone, come prevede l’art. 7 del DPCM del 9 marzo, che esclude i sanitari dalla quarantena preventiva. “Questo dato, unito al fatto che il 18% degli operatori sottoposti a tampone è risultato positivo, chiarisce bene come nelle Strutture Sanitarie sia venuta a mancare, a causa di una criticatissima scelta politica nazionale, una reale tutela della salute dei lavoratori e contestualmente come questa scelta possa aver favorito la diffusione del contagio”.

Mancanza di isolamento domiciliare e di sorveglianza sanitaria
Nell’80,5% dei casi l’esecuzione del test molecolare è stato gestito dal Servizio di Medicina del Lavoro, nel 19,4% dei casi dal SISP. Secondo il sondaggio la successiva sorveglianza sanitaria degli operatori con tampone positivo è mancata nel 54% dei casi. Solo il 36% dei responders ha eseguito il tampone come da Protocollo Regionale, ovvero immediatamente se sintomatici o dopo 3 giorni dall’avvenuto contatto con un Covid positivo.

sondaggio nursind covid 19

Il 27% ha atteso tra i 5 e i 10 giorni, il 12,9% ha atteso oltre 10 giorni e il 20,9% oltre 2 settimane. “Se consideriamo solo i sanitari che hanno sviluppato i sintomi a domicilio, e che quindi sono stati presi in carico dal SISP e non dal medico competente, i tempi d’attesa per l’esecuzione dell’esame aumentano ulteriormente: il 24,8% ha atteso oltre le due settimane, per un totale del 41,27% dei responders che ha atteso più di 10 giorni”.

L’attesa per ottenere l’esito del tampone è stata inferiore, seppur il 9% abbia aspettato 4-5 giorni e l’8% oltre i 5 giorni.

La paura per le famiglie 
I sanitari hanno avuto timore di portare a casa l’infezione, ma secondo il sondaggio tutto il lavoro di ricostruzione e test ai contatti è completamente mancata: l’89% dei positivi dichiara che non è stato fatto il tampone ai propri famigliari.
Con o senza tampone per la ricostruzione del contatto, alla fine l’8,7% dei sanitari ha avuto un famigliare malato Covid. Il partner quello più esposto con il 5,98% dei casi, seguono genitori, fratelli, figli. Proprio con l’intento di evitare il contagio dei propri affetti, di mettere a rischio la loro salute e di limitare il diffondersi del virus Il 39,2% del personale ha dovuto dormire in stanze o case separate.

sondaggio nursind covid 19

Dispositivi sanitari inadeguati: arrivati tardi e spesso non a norma
Tema cruciale quello dei DPI, fondamentali per la protezione degli operatori sanitari. Solo il 32,9% del personale dichiara di aver ricevuto DPI adeguati, mentre il 56,5%, oltre la metà, solo in parte. Infine il 10,5% afferma di non aver ricevuto dispositivi adeguati.
Alla domanda del perché la fornitura di DPI non fosse adeguata, il 73,9% ha dichiarato un numero insufficiente di dispositivi, con conseguente necessità di riutilizzo di quelli in dotazione. Il 33,9% invece ha risposto che mancavano le FFP2 e FFP3 e infine il 26,6% afferma di aver dovuto trovare soluzioni tampone come ad esempio sacchi dell’immondizia per assenza di fornitura adeguata.

Quasi la metà, il 45,4% ha risposto di aver ricevuto materiale poi ritirato perché non conforme. “Non sappiamo se il materiale sia stato utilizzato, per quanto tempo e se il personale fosse adeguatamente protetto” affermano i segretari regionali.

sondaggio nursind covid 19

Percorsi “sporchi-puliti” all’interno delle strutture ospedaliere
Un altro aspetto particolarmente significativo nella propagazione del virus all’interno delle strutture ospedaliere, è la distinzione tra percorsi sporchi e puliti.

“Le strutture sono diventate focolai di infezione anche e soprattutto per questa criticità. Il 58,75% ha risposto che questi percorsi non erano ben differenziati, un dato altissimo se si pensa alle conseguenze che tale problematica ha rappresentato”.

Formazione e comunicazione
La formazione sul corretto utilizzo dei DPI, sulla gestione dei percorsi ed in generale sulle precauzioni da avere durante il lavoro, per minimizzare i rischi di contagio, doveva essere prevista obbligatoriamente in tutti gli ospedali, come recitano anche le linee guida dell’Istituto Siperiore di Sanità, ma solo il 49,29% degli operatori intervistati afferma che l’azienda ha previsto corsi di formazione per il corretto e adeguato utilizzo di DPI. Il 36,34% dice che non sono stati previsti e il 14,28% addirittura di non sapere.

Anche la comunicazione di decisioni strategiche agli operatori è stata inadeguata secondo i risultati del sondaggio: per il 34,8% dei responders l’azienda non ha informato il personale di protocolli, linee guida, riorganizzazioni interne dei reparti, sicuramente indice di inefficienza nel comunicare con i propri operatori.

Aziende sanitarie sotto la sufficienza
In conclusione di sondaggio è stato chiesto di dare un voto all’azienda, relativamente alla capacità di affrontare e gestire l’emergenza COVID. I sanitari che hanno risposto al sondaggio sono stati impietosi: voto 5

“Una cruda realtà a dimostrazione dell’inefficienza di un sistema che ha fatto acqua da tutte le parti tra chi doveva coordinare e chi dove eseguire e messo a rischio operatori e cittadini” concludono i segretari regionali di Nursind e Anaao.