Il Vescovo di Asti Prastaro: “Odiatori del web, non rassegnatevi ad una vita di rabbia”

Arriva, a volte brutale, a volte improvvisa. Messa in atto da chi, dietro ad una tastiera del computer, molto spesso si atteggia da giustiziere, commentando argomenti spesso complessi in maniera semplicistica e immotivatamente offensiva. Parliamo della violenza verbale sui social e sul web, argomento che al nostro giornale, primo mezzo d’informazione locale ad essere nato sul web, sta molto a cuore.

Attenzione condivisa con il vescovo di Asti, Marco Prastaro, che nel suo ultimo incontro con i giornalisti, in occasione di San Francesco da Sales, ha espresso tutta la sua preoccupazione per questo fenomeno che sta assumendo una valenza sempre più drammatica.

Vescovo Prastaro, questa è una questione che le sta molto a cuore.

Sì, è vero. L’interesse è nato dal fastidio che ho provato nel vedere queste reazioni così scomposte nel commentare scelte individuali o di una comunità, anche abbastanza piccola e tranquilla, come la nostra. Poi c’è stata una battuta che mi ha fatto riflettere: un giorno una persona, di cui ho molta stima mi disse: “ma alla fine, nell’odio di tutti questi hater, un fondo di verità esiste”. Ho provato quindi a chiedermi: “Da dove nasce questa rabbia? Esiste un processo psicologico che porta a questa acredine sui social?”. E’ una domanda a cui non riesco ancora a dare una risposta, ma che sicuramente mi deve, e ci deve, interrogare tutti come componenti di una società civile e come cristiani.

L’odio, però, spesso non si ferma alla tastiera del computer.

E’ vero, e qui nasce una seconda preoccupazione: in ambito politico c’è chi sta cavalcando la rabbia, ma senza dare le risposte e la rabbia sarà sempre più grande. E non credo che questa sia una cosa banale o da sottovalutare: nel 2007, io ero in Kenya, ci furono le elezioni. Dopo alcuni giorni di incertezza politica in seguito all’esito delle consultazioni, partì una faida civile che provocò un migliaio di morti e seicentomila rifugiati interni, perché qualcuno era stato molto capace di risvegliare le rabbie sopite delle persone e far sì che molte famiglie, che prima si frequentavano in maniera amichevole, dalla sera alla mattina incominciassero a scannarsi.

Cosa si può fare di concreto, secondo lei?

Di sicuro non posso rispondere a questa rabbia con un’altra rabbia: se il Vangelo ci dice di opporci al male con il bene o di porgere l’altra guancia, questo deve essere un insegnamento che dobbiamo mettere in pratica. Bisognerebbe trattare questa manifestazione come sintomo e non come causa della malattia. La rabbia è la conclusione di un un discorso, ma la radice che porta a questo malcontento è difficile da individuare. Ed è una responsabilità dei politici, di chi è leader di una comunità, mettere al centro delle proprie riflessioni questo problema e dare risposte concrete a questo disagio. La questione è che in questo momento storico non vedo nessuno in grado di mettere in atto una politica del genere, anzi, molti non si pongono il problema e cavalcano semplicemente la tigre per fini personali.

Al di là di certi fattori economici o politici, non c’è un problema esistenziale in chi trova una propria dimensione sul web per dare risposte ad un suo disagio interiore?

Oggi, quando parliamo di identità forti, in fondo denunciamo una crisi delle nostre identità. Entriamo in un mondo che ha perso un orizzonte di valori: per questo motivo, chi ci fornisce degli appigli scuri a cui aggrapparci – questo è buono, questo è cattivo – in fondo non ci offre altro che quel senso di sicurezza di cui abbiamo bisogno. E’ una dinamica che vediamo anche nella Chiesa: una certa forma di tradizionalismo esasperato non è altro che una manifestazione di debolezza nel costruire la propria identità. Noi stiamo parlando di un mondo che è diventato profondamente narcisista. Ma cos’è il narcisismo? E’ un “io” che non è strutturato, un “io” che cerca la sua identità e per questo motivo si aggrappa a dei valori forti. Io credo che questo sia uno dei più grandi malesseri della nostra società odierna.

Lei è uomo di fede: si può uscire da questo quadro così negativo?

Da Vescovo e cristiano ritengo che siamo fatti ad immagine di Dio. Quindi siamo in grado di aspirare ad un ruolo più alto. E questo disagio che oggi viviamo si ripercuote su di noi perché nessuno ci propone un modello più importante a cui aspirare.Io, però, sono profondamente convinto che ci sia un anelito in ogni uomo ad una vita migliore: la risposta, in questo caso, può venire da chi ad un certo punto comprende la pericolosità del baratro in cui stiamo precipitando ed incomincia a fare un altro tipo di discorsi. Come Chiesa stiamo provando a far vedere che un altro mondo è possibile: che la fame non ha etnia, che è possibile fare esperienze di vita dove si può vivere serenamente anche all’interno delle difficoltà. Certo la fede aiuta, ma non è l’oppio dei popoli: la fede è entrare nella vita: questo possiamo declinarlo ad un ritorno alla realtà; ad una vita più saggia, più sobria e più lenta, che ci aiuti a ragionare e a ponderare al meglio le cose.Chi scappa dalla realtà, chi entra in un mondo di rabbia digitale, non potrà mai essere felice. Io sono cattolico e quindi ottimista: certamente uscire da questa bolla è possibile, ma è un cammino che bisogna percorrere tutti insieme.