Asti, Liceo Classico: “Sorseggiando un caffè… filosofico”

Si è da poco conclusa la serie di quattro incontri organizzati dai docenti di filosofia del Liceo Classico che hanno avuto luogo nelle aule dell’Istituito per quattro giovedì pomeriggio tra la fine di gennaio e le prime due settimane di febbraio.

Incontri che hanno visto la partecipazione attiva di molti giovani studenti, tanto del triennio quanto del biennio L’iniziativa, che mi ha visto coinvolto nella scelta dell’argomento da sviluppare, ha permesso ai ragazzi di incontrare la riflessione filosofica in una veste meno austera promuovendo il dialogo e un contatto diretto con quel reale non trasparente che è sempre bene investigare e che i giovani partecipanti hanno dimostrato di aver compreso con quel giusto spirito critico oggi più che mai indispensabile.

Era il 1995 e in Francia veniva pubblicato un libro singolare: Un café pour Socrate (tradotto in italiano Socrate al caffè, Ponte alle Grazie, 1998); la filosofia si era decisa a lasciarsi alle spalle la torre d’avorio intellettualistica per tornare a riempire, questa volta non più le piazze, ma il nuovo centro di aggregazione sociale: il bar. Filosofare al bar ha così rappresentato una sorta di palingenesi, di rinascita; una fuoriuscita dai paludamenti istituzionali troppo spesso autoreferenti e autosussistenti.

Con il suo gesto, inaugurato il 12 dicembre 1992 al Cafè des Phares, Paris, Marc Sautet aveva dato il via ad una fioritura di incontri, di colloqui, di conversazioni che a macchia d’olio si sono estesi in tutta Europa e nelle Americhe.

Ma la fecondità della sua pratica va intesa come rinnovamento di una proposta teoretica illanguidita: di che cosa si deve occupare la filosofia? In poche parole, possiamo attribuire un oggetto specifico alla filosofia?

E, soprattutto, chi può definirsi filosofo? Nella proliferazione dei saperi, anche filosofici (ci sarà sempre una polifonica congerie di filosofia di…), Sautet ha saputo trattenere le redini e riportare le domande sulla filosofia stessa, interrogando la filosofia di persona, tramite i suoi cosiddetti «personaggi concettuali» (Deleuze – Guattari, Che cos’è la filosofia?, Einaudi, 1996): casalinghe, pensionati, studenti, uomini e donne d’affari…

Perché al centro di tutto ha posto non i massimi sistemi del mondo, ma la cosa più banale e semplice che ci sia: la realtà che ci circonda, semplicemente. Interrogarci sulla nostra quotidianità, porci quesiti per comprendere le dinamiche che caratterizzano la nostra esistenza, cercare di capire e fornire un taglio trasversale, porsi trasversalmente al reale è gesto filosofico per eccellenza (e la filosofia vive di gesti, di gestualità; nel suo posizionarsi, dis-porsi, è già tutta di per sé gestualità).

Ora, chiederci cosa sia la realtà, cosa si possa intendere per reale sono state le due domande direttrici del Caffè filosofico svoltosi presso il Liceo Classico Vittorio Alfieri.

Le coordinate della serie dei quattro incontri sono state da una parte le riflessioni di quella corrente filosofica denominata Nuovo Realismo che, embrionalmente presente in alcuni studi del professore Maurizio Ferraris a partire dagli anni ’90, ha trovato risonanza mediatica con la pubblicazione del Manifesto del Nuovo Realismo (Laterza, 2012), dall’altra un’indagine sulla natura dei nostri nuovi media (dal web ai social network) e di come tali strumenti abbiano modificato il nostro modo di vedere la realtà.

Al centro di questi sistemi, i partecipanti si sono trovati a riflettere e discutere, con spunti interessantissimi e coinvolgimento personale, sul concetto di reale e a problematizzare quanto ritenuto certo e irrefutabile.

L’ultima lezione ha visto i giovani filosofi impegnati in un confronto con il collettivo di Arena Philosophika (www.arenaphilosophika.it), neonato blog astigiano di filosofia, sul tema della tecnica e della tecnologia con interventi dedicati alla problematica della sparizione dell’arte in Jean Baudrillard (Simone Vaccaro), ad una ricognizione generale sul concetto di tecnica con riferimenti ad Anders e Heidegger (Francesco Bellè) e ad una lettura conclusiva nata dall’approfondimento del pensiero di Emanuele Severino, da poco scomparso, sulla natura della tecnica, la cui essenza sarebbe da individuarsi nella filosofia di Giovanni Gentile (Edoardo Mancini).