Hikikomori, un fenomeno in espansione: anche ad Asti casi di giovani ritirati

Le scuole astigiane hanno perso un’occasione.

Scadeva lo scorso 29 novembre il termine per aderire al progetto dell’Ufficio Scolastico provinciale proposto da Associazione Hikikomori Italia Genitori e Laura Calosso, giornalista e scrittrice astigiana, il cui scopo era organizzare degli incontri nelle scuole medie superiori di Asti e provincia per parlare agli studenti di “giovani ritirati”.

Nessuna scuola ha aderito al progetto e questo probabilmente è sintomo di poca conoscenza di un triste fenomeno sociale, che, nato in Giappone 35 anni fa, si sta diffondendo anche in Italia (100.000 casi, ma il numero è sottostimato), con casi presenti anche in Piemonte e nell’Astigiano. Questa l’idea condivisa dalla stessa Calosso, che lo scorso 5 dicembre, ha organizzato un incontro rivolto agli adulti in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti del Piemonte dal titolo “Il ritiro sociale dei giovani”.

Relatori erano Elena Carolei, presidente dell’Associazione Hikikomori Italia Genitori e lo psicoterapeuta, con una formazione in etnopsichiatria, Pietro Ferrero, che collabora con Hikikomori Italia in Piemonte.

“Un ragazzo ritirato abbandona la scuola, si chiude nella sua stanza, rompe qualsiasi relazione sociale con il mondo esterno, rifiuta i genitori, i compagni, il dialogo. Unico modo di relazione può essere internet, ma non sempre è così” ha spiegato Carolei

E qui si capisce che l’Hikikomori non è una dipendenza da Internet o dai social. Quella non è la causa, può essere una conseguenza, ma non sempre. A volte i ragazzi ritirati non usano nemmeno il web, chiudendo di fatto un’altra possibilità di creare relazioni. Invertono il ritmo sonno-veglia, dormendo di giorno e stando svegli di notte.

Si può pensare che il loro sia un contesto sociale di degrado sociale, economico e culturale. Ma non è così. “Sono ragazzi che appartengono, nella maggior parte dei casi, a famiglie di classe sociale medio-alta con un elevato livello di istruzione in cui ai figli si dà un’educazione incentrata sull’impegno, sull’importanza dello studio, sulla dedizione e a cui si chiedono elevate performance a livello sia scolastico che extra scolastico”.

E così si decostruisce un altro pregiudizio. Sono ragazzi belli, intelligenti, educati, sensibili. “Caratteristiche che se un tempo potevano portare al successo e all’affermazione, ora, nella nostra società, possono avere il risultato opposto e portare all’insuccesso, all’isolamento e all’esclusione”.

Non esiste un “ragazzo tipo Hikikomori”. E’ come ciclone, secondo l’efficace immagine utilizzata da Ferrero. Come nell’evento metereologico, anche in questo caso, esiste una concomitanza di variabili: una serie di caratteristiche individuali incontrano aspetti sociali e familiari e precise situazioni e così si alimenta il “ciclone perfetto” che porta alla devastazione (gli Hikikomori possono avere fratelli e sorelle cresciuti nello stesso contesto e che conducono una vita “normale”).

I ragazzi e le ragazze Hikikomori non vogliono essere aiutati e possono addirittura diventare aggressivi verso i genitori. “L’aiuto genera l’effetto opposto e fa aumentare il senso di vergogna. Chi si ritira lo fa per un senso di vergogna, ma l’aiuto va ad alimentare ancora di più quel sentire in un circuito che si autoalimenta” riprende Carolei.

E’ un fenomeno sociale. Non esiste una diagnosi perché non è una malattia. Non è una forma di depressione. La depressione può essere una conseguenza, ma non è certo la causa. E’ un problema di autostima, una paura degli altri e di esposizione alla socializzazione (si parla di “anoressia sociale”).

Ed essendo un fenomeno sociale è anche un campanello di allarme. “I ragazzi ritirati sono sentinelle di qualcosa che non va nella nostra società” evidenzia Calosso

Ma cosa si può fare?

Importante è la prevenzione. Non si diventa Hikikomori da un giorno all’altro. Ci sono dei segnali che devono essere letti, capiti e interpretati da coetanei, insegnanti e famiglie. Per questo è importante parlarne. “Io vado a parlare nelle scuole – spiega Calosso che sul tema ha scritto il romanzo “Due fiocchi di neve uguali”- Parlo soprattutto con i ragazzi che sono molto curiosi, fanno domande, vogliono capire perché magari hanno dei compagni ritirati e non capiscono i motivi di quella chiusura e magari le ragioni sono da ritrovarsi all’interno della stessa cerchia di amici o della classe. Sono stata in diverse scuole d’Italia. Ad Asti sono andata all’istituto Penna dove ho potuto riscontrare molto interesse”.

Ma se i ragazzi sembrano dimostrare attenzione e sensibilità alla problematica, gli adulti sembrano non accorgersene ed ecco che un progetto come quello dell’Ufficio scolastico provinciale di Asti va a monte.

E invece e proprio dai contesti di socializzazione, scuola in primis, che bisogna iniziare ad agire. “E’ necessario ricreare delle rete sociali e uno spirito di comunità in una società dove manca il senso di appartenenza e ormai l’individualismo e la performance individuale sembra avere sempre il sopravvento” afferma Ferrero.

Bisogna agire ora. Questo il monito. “Siamo su una soglia – avverte Calosso – Rischiamo di superarla e di andare troppo oltre, proprio come in Giappone dove il fenomeno, oltre tre decenni fa, non era stato affrontato e ora ci si trova ad avere generazioni di cinquantenni ancora ritirati, magari con genitori anziani di cui non si prendono cura con un elevato costo sociale e sanitario”.

Qualcosa in Piemonte sta iniziando a muoversi. E’ stato redatto infatti un protocollo tra Associazione, Regione e Ufficio scolastico regionale. C’è ancora però molto da fare: prima di tutto parlarne e far conoscere la realtà in cui si trovano decine di famiglie.

Per contattare l’Associazione Hikikomori Italia Genitori in Piemonte (ne fanno parte circa 100 famiglie, il 60% a Torino in restante 40% nel resto della regione): piemonte@hikikomoriitalia.it.

Per ulteriori informazioni pagina Facebook “Hikikomori Italia” e il gruppo Facebook “Hikikomori Italia Genitori”.