CGIL Asti: “Preoccupazione per lo stato di salute del Welfare in Provincia di Asti”

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La CGIL di Asti ha convocato questa mattina, martedì 1° ottobre, una conferenza stampa per illustrare i risultati di una ricerca sulla situazione del Welfare locale nella Provincia di Asti.

Hanno preso alla conferenza il sociologo Francesco Montemurro, Direttore IRES Lucia Morosini, e il Segretario Generale della CGIL di Asti Luca Quagiotti, il quale ha sottolineato che «prendere atto di quali siano i problemi è il primo passo per risolverli».

La ricerca evidenzia, infatti, la risposta degli enti gestori (Comune di Asti, COGESA, CISA) nei confronti di una domanda sociale sempre più crescente nella nostra Provincia e le differenze di investimento e di servizi erogati nella nostra Provincia. Di seguito ecco cosa è emerso dalla ricerca della CGIL di Asti.

Nel corso dell’ultima decade, la domanda di servizi sociali espressa dalla popolazione piemontese è divenuta più pressante e articolata. La Grande Recessione degli anni 2008-2014 ha prodotto una contrazione dei redditi e una caduta dell’occupazione che hanno compromesso la capacità di consumo delle famiglie, provocando un aumento dei casi di povertà ed esclusione sociale. La debole ripresa degli anni successivi non è stata sufficiente per recuperare il terreno perso: il PIL pro capite piemontese del 2018 era pari soltanto al 91% di quello del 2007.
Dal confronto tra province rispetto al PIL pro capite a parità di potere d’acquisto (ovvero corretto al fine di compensare le distorsioni indotte dalle differenze nei livelli dei prezzi che si osservano tra i territori), Asti, con 25.500 euro, nel 2016 risultava essere la penultima provincia piemontese, con un valore di 3.300 euro inferiore alla media regionale. Torino e Cuneo sono le uniche due province con valori significativamente superiori rispetto alla media (31.900 euro pro capite), mentre il V-C-O, con un valore di 24.000 euro, presenta un gap rilevante rispetto agli altri territori.

Ulteriori sfide per il sistema di welfare discendono dalla «questione demografica». La provincia di Asti, con una percentuale di over 65 del 26,3% e una percentuale di over 80 dell’8,9%, ha raggiunto un grado di invecchiamento più avanzato rispetto al quadro regionale complessivo.

Anche la tendenza all’individualizzazione dei comportamenti (crescita dei nuclei monofamiliari, instabilità coniugale, riduzione della quota delle famiglie numerose) mette a dura prova la capacità di assistenza del welfare familistico. A questi temi si somma quello dell’integrazione sociale e lavorativa della popolazione straniera, che costituisce ormai l’11,5% dei residenti dell’Astigiano (la percentuale più alta tra le province piemontesi).

Con queste prospettive la presente ricerca, commissionata dalla CGIL di Asti, è orientata a indagare la relazione fra domanda sociale e offerta di welfare in questo territorio.
Le principali risultanze mostrano come il gradiente territoriale influenzi considerevolmente la qualità della vita nella provincia di Asti. Se è vero che nelle aree interne del territorio (costituite da numerosi piccoli comuni distanti dai centri erogatori di servizi) e nelle altre aree rurali le amministrazioni locali custodiscono un patrimonio straordinario di beni culturali e ambientali, di saperi e convivialità, non si può trascurare il fatto che una parte importante dei 112 piccoli comuni subiscono ormai da diversi anni la depauperazione demografica, la rarefazione dei servizi di base (istruzione, mobilità e sanità) e la carenza di infrastrutture, fenomeni che penalizzano le potenzialità di sviluppo. Peraltro, le politiche per la cooperazione istituzionale, chiamate a contrastare questi fenomeni, risultano piuttosto deboli. Infatti, nonostante in questo territorio operino 16 unioni di comuni, si è visto che l’alta incidenza della quota di spesa destinata all’auto—funzionamento dai piccolissimi comuni (fino a 3mila abitanti) costituisce un problema ancor più rilevante rispetto a quanto rilevato mediamente a livello regionale; inoltre, la dimensione media delle unioni è molto ridotta al confronto con numerose altre esperienze; infine, la scarsa disponibilità di figure professionali qualificate presente negli organici dei piccolissimi comuni rallenta fortemente la realizzazione degli investimenti, con il conseguente accumulo di risorse inutilizzate (avanzo di amministrazione disponibile).

Sul fronte della domanda, dal 2012 al 2017 si è verificato un aumento nominale del reddito medio (+5,5% ad Asti, corrispondente ad una crescita più alta dell’inflazione, che tra il 2012 e il 2017 è stata del 2%), imputabile principalmente all’andamento delle dichiarazioni di pensionati, autonomi (professionisti) e imprese, mentre i redditi da lavoro dipendente sono rimasti pressoché stabili (+2% al livello regionale e +0,7% nella Provincia di Asti): il trend registrato nella nostra provincia corrisponde quindi ad una decrescita in termini reali per questa tipologia di contribuenti. Inoltre i contribuenti a basso reddito raggiungono percentuali ancora molto elevate: chi dichiara fino a 15.000 euro (considerando anche i redditi nulli e negativi) rappresenta il 42,5% del totale, in Piemonte il 37,7%.

Il tasso di copertura delle misure di sostegno al reddito fornisce un’indicazione indiretta della presenza sul territorio astigiano di un diffuso disagio dovuto all’insufficienza o, in molti casi, all’assenza di fonti di reddito e di sostentamento. Da marzo a settembre del 2019 sono state presentate 4.116 domande di Reddito di Cittadinanza, delle quali 2.636 accolte (le rimanenti 1.480 sono state in parte respinte o cancellate e in parte sono ancora in attesa di istruttoria). A fine luglio, il 2,7% delle famiglie astigiane beneficiava di questa misura di sostegno al reddito e alla stessa data era del 2,7% anche la percentuale di residenti coinvolti.

Asti, inoltre, è la provincia con la più elevata diffusione di indennità di accompagnamento (75,3 ogni 1.000 famiglie, mentre il tasso regionale è di 63,3), erogate agli invalidi civili totali che, a causa di minorazioni fisiche o psichiche, sono impossibilitati a deambulare senza l’aiuto di un accompagnatore oppure incapaci di compiere gli atti della vita quotidiana.

Nonostante l’aumento della domanda sociale, l’utenza presa in carico dai servizi sociali ad Asti era ancora al 2017, secondo i dati forniti dalla Regione Piemonte, la più bassa tra le province piemontesi escluso il V-C-O. Gli utenti del 2017 rappresentavano solo il 3,83% della popolazione astigiana, mentre erano il 5,88% della popolazione piemontese. I gap più significativi riguardano l’utenza che necessita di prestazioni di tutela e integrazione sociale con basso o nullo contenuto socio-sanitario: i minori non disabili (5,12% della popolazione tra 0 e 17 anni a fronte di una percentuale regionale del 7,92%), gli adulti non disabili (1,77% della popolazione tra 18 e 64 anni, a fronte del 3,62% regionale) e gli anziani autosufficienti (l’1,16% degli ultrasessantacinquenni astigiani, il 2,61% degli ultrasessantacinquenni piemontesi). I tassi di copertura dei minori disabili (1,22%) e degli anziani non autosufficienti (4,30%), invece, superano quelli regionali. Quello degli adulti disabili è dello 0,69%, meno di quello regionale (1,13%).

Analizzando la copertura per ambito territoriale, emerge che quello costituito soltanto dal Comune Capoluogo presenta tassi di copertura più vicini alla media regionale, mentre negli altri due si rilevano forti criticità rispetto alla presa in carico di alcune categorie di utenti. In particolare, nell’Ambito territoriale servito dal CO.GE.SA. di Asti si osservano percentuali inferiori all’1% per i minori disabili, gli adulti disabili e gli anziani autosufficienti. Nell’ambito servito dal C.I.S.A. di Nizza Monferrato non sono stati presi in carico anziani autosufficienti.

Per quanto riguarda il numero degli utenti dei servizi sociali a livello provinciale sappiamo essere stati 7.799 nel 2017 e 7.049 nel 2016 (fonte: Regione Piemonte). In ogni caso, nella nostra provincia il rapporto tra utenze e residenti è pari a 8 su 100, un dato che conferma una copertura dei servizi comunali molto più bassa rispetto a quella garantita a livello regionale (21 su 100) e anche nella media delle province del Nord Italia (18 su 100).

Dei 68 servizi rilevati dall’ISTAT, cinque soltanto comprendevano nel 2016 l’81,2% delle utenze: il segretariato sociale, il servizio sociale professionale, le attività ricreative, i contributi per l’alloggio e i contributi di integrazione al reddito familiare. Il segretariato sociale e il servizio sociale professionale, che non rappresentano prestazioni «in kind» o contributi economici, ma porte di accesso e canali di indirizzo e consulenza, comprendono il 65,2% delle utenze.

Gli utenti degli asili nido comunali (o alle cui spese di gestione partecipa anche il comune o l’ente gestore) sono stati soltanto 473, ovvero il 6,9% dei minori tra 0 e 3 anni (la percentuale regionale è dell’8%).

In linea generale, dai dati esaminati si ha l’impressione che le problematiche che interessano la copertura della domanda sociale dipendano anche dalle rigidità dell’offerta e dalla non adeguata propensione all’innovazione degli interventi sociali posti in essere. In diversi casi, infatti, comuni ed enti gestori, pur mostrando una forte sensibilità sociale, offrono un numero limitato di servizi pensati per grandi categorie di utenti (Sad, Centri sociali, Educativa per i minori, ecc.), poco differenziati e non adeguatamente mirati alle necessità della popolazione, le quali spesso travalicano questi steccati. Mentre occorrerebbe impostare una presa in carico più orientata a valutare la multidimensionalità del bisogno (ad esempio, diritto all’informazione, abitazioni, disagio economico, isolamento fisico e relazionale, sostegno al reddito, necessità educative dei minori, ecc.) e a integrare l’offerta di interventi, anche potenziando il partenariato pubblico – privato.

L’analisi dei bilanci mostra che i comuni astigiani nel 2018 hanno impegnato 733,6 euro di spesa corrente per abitante, ovvero una cifra vicina a quella impegnata mediamente degli altri comuni piemontesi (che, escludendo dal computo la città di Torino, hanno impegnato nello stesso anno 742,8 euro). La parte di spesa destinata ai servizi sociali ammonta nella nostra provincia soltanto a 80,7 euro, mentre nelle altre province (di nuovo escludendo Torino) a 83,9. Bisogna tuttavia evidenziare come su questa media incidano in modo determinate il bilancio della città di Asti e del comune di Canelli, che hanno impegnato rispettivamente 139,3 e 115,9 euro. Nelle altre municipalità più grandi della Provincia si osservano livelli di spesa significativamente inferiori (dai 21,8 euro di Costigliole d’Asti ai 66,4 euro di Nizza Monferrato).

Nell’aggregato dei comuni con meno di 1.000 abitanti la spesa sociale pro capite è di soli 20,1 euro. La capacità di spesa di queste amministrazioni è ingessata dai capitoli relativi all’auto-funzionamento: la spesa pro capite per l’amministrazione generale è di 391 euro, ovvero più della metà della spesa corrente complessiva (54%). Gli abitanti dei piccolissimi comuni non soltanto soffrono la rarefazione dei servizi di base (confermata dalla valutazione molto bassa sul livello delle prestazioni fornita dal Ministero dell’Interno), ma sono anche soggetti ad un maggior livello di pressione tributaria: nei comuni fino a 1.000 abitanti le entrate tributarie (titolo 1) ammontano a 646,6 euro pro capite, mentre la media regionale è di 605,3 e nei comuni tra i 3.000 e i 10.000 abitanti è inferiore a 550 euro.

NuovoAsti 28-09fm

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