Andrea Doria e Costa Concordia, i Titanic italiani: se ne parla ad Asti per la rassegna “La grande storia a teatro”

Nella grande storia della marineria italiana le due maggiori tragedie a cavallo della seconda metà del XX secolo e il secondo decennio del XXI portano i nomi “Andrea Doria” e “Costa Concordia”.

Due splendide navi, entrambe orgoglio della flotta da crociera tricolore del loro tempo, a distanza di 56 anni affondarono in circostanze tali da generare lo sconcerto dell’opinione pubblica con gravi ricadute di immagine ed economiche per la navigazione italiana. A questi due naufragi tristemente famosi per il numero di vittime è dedicato l’appuntamento di mercoledì 17 aprile in Sala Pastrone alle 18 de “La grande Storia a Teatro” intitolato “I Titanic italiani, Andrea Doria e Costa Concordia, due disastri del mare entrati nella storia”.

A parlarne sarà Fabio Pozzo, giornalista e scrittore tra i maggiori esperti nazionali sui temi legati al mare, dialogando con Vanni Cornero, che condurrà l’incontro, e rispondendo alle domande di Gianfranco Imerito nel question time conclusivo.

ANDREA DORIA

Nell’Atlantico al largo di Nantucket – E’ il 25 luglio 1956: l’Atlantico è una distesa scura, la nebbia cela l’orizzonte. L’Andrea Doria, uno dei transatlantici più belli dell’epoca, sta navigando verso New York con 1706 persone a bordo, 1134 passeggeri e 572 uomini d’equipaggio. Alle 23.10, al largo dell’isola di Nantucket, in prossimità delle coste americane, il destino segna la sua ora: l’ammiraglia della flotta italiana è speronata da un’altra nave passeggeri, la svedese Stockholm, e affonda dopo undici ore di agonia. Le vittime sono 52, 46 sull’unità italiana, 6 su quella scandinava; centinaia i feriti. Una tragedia, ma anche la più grande operazione di soccorso della storia della navigazione, il cui successo è dovuto in gran parte all’equipaggio dell’Andrea Doria. Un merito non riconosciuto: sul comandante Piero Calamai e i suoi marinai si abbatte il peso delle polemiche. Una pagina di storia riaperta cinquant’anni dopo il naufragio, grazie a due gruppi di lavoro, uno italiano e uno americano, che hanno fatto riemergere la verità a cui è approdata l’inchiesta governativa italiana sul sinistro. Un’inchiesta rimasta segreta per mezzo secolo, le cui conclusioni riabilitano totalmente il comandante Calamai e i suoi uomini. .

COSTA CONCORDIA
Quel maledetto “inchino” al Giglio – La sera del 13 gennaio 2012 alle 21:45 la “Costa Concordia”, una delle più grandi navi della Marina Mercantile italiana, in navigazione per una crociera nel Mediterraneo, urtò il più piccolo degli scogli delle Scole situato a circa 500 metri dal porto dell’Isola del Giglio, l’incidente provocò uno squarcio di 70 metri nello scafo. A seguito del danno, la nave sbandò progressivamente sul lato di dritta sino ad abbattersi sul lato destro naufragando, ma, appoggiandosi al fondale, rimase in buona parte emersa. Mentre 4200 persone furono tratte in salvo con le lance di salvataggio e alcune altre centinaia, rimaste bloccate a bordo dopo il rovesciamento vennero portate a terra mediante motovedette ed elicotteri, 32 tra passeggeri e personale imbarcato morirono. I corpi di 30 vittime furono recuperati tra il momento del naufragio e la fine del marzo 2012, ma i resti degli ultimi 2 dispersi furono ritrovati rispettivamente uno nell’ottobre 2013, dopo le operazioni di raddrizzamento per la rimozione della nave e l’altro il 3 novembre 2014, quando la “Costa Concordia” era ormai in fase di smantellamento nel porto di Genova. Francesco Schettino, il comandante della nave, è stato processato per omicidio colposo plurimo, lesioni colpose, naufragio e abbandono di nave e condannato in appello e Cassazione a 16 anni, oltre all’interdizione per 5 anni da tutte le professioni marittime.