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Massimo Martinelli e la Langa del Barolo: “Gli stranieri ci hanno fatto capire quanto la zona sia bella ed importante”

Nella nostra narrazione digitale dei Paesaggi Vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato, proponiamo un altro focus, questa volta sul tema del Barolo, nel racconto di Massimo Martinelli, grande enologo che ha lavorato per oltre quarant’anni nel mondo del vino albese.

Il pezzo è anche questa volta un estratto dalla lunga intervista realizzata da Marcello Pasquero, giornalista di Radio Alba, gentilmente concessa come contributo per la nostra Narrazione Digitale dei Paesaggi Vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato.

Massimo Martinelli e la Langa del Barolo: “Gli stranieri ci hanno fatto capire quanto la zona sia bella ed importante”

di Claudia Solaro

Massimo Martinelli, una vita passata nella Cantina Ratti. All’inizio com’era? Qual era l’immagine che aveva il Barolo, più di quarant’anni fa…quanto è cresciuto? Ci sono state anche delle tappe fondamentali per far conoscere il Barolo un po’ in tutto il mondo al livello a cui è oggi?

“Ecco, a quell’epoca diciamo che il Barolo poteva essere definito il vin dei sgnur, nel senso che era il vino delle grandi occasioni, il vino che si beveva una volta all’anno…se ne faceva anche di meno devo dire. Era il vino dei regali: perchè a Natale dovevi fare un presente al tuo medico, gli regalavi due bottiglie di Barolo. Poi, non so bene spiegare quando e come, abbiamo avuto dei visitatori stranieri che ci hanno fatto capire quanto la zona fosse bella e quanto la zona fosse importante. E quindi ci siamo trovati a ricevere della gente che era curiosa di venirci a trovare, ma noi non eravamo preparati. Ricordo che quando avevo qualcuno che arrivava però non si sapeva dove riceverlo, dove stappare una bottiglia: dovevi andare in un angolo della cantina, ma non era così bello. Abbiamo però capito subito la potenzialità e ci siamo attrezzati con delle sale di degustazione perché l’accoglienza deve essere fatta in un certo modo.

Parlando di Barolo e di vino di eccellenza, il confronto con i francesi viene quasi spontaneo…

“I francesi, rispetto a noi, sono più avanti, infatti noi abbiamo fatto diversi viaggi di studio e diciamo pure di copiatura perchè adottare dei modelli che funzionavano era giusto poterli adattare anche da noi. E secondo me noi abbiamo superato, adesso dico tra virgolette, l’esame perché ci siamo sempre presentati con molta semplicità, con poca spocchia, quindi noi abbiamo ricevuto normalmente, come si diceva, un amico a casa tua. E questo ha colpito perché noi eravamo più spontanei, più naturali…e ovviamente venendo in zona c’è stata anche una rivalutazione della cucina, perché se uno viene in vacanza nelle Langhe, è evidente che se si ferma un paio di giorni andrà a mangiare da qualche parte…quindi i nostri locali sono stati bravi nel riproporre le vecchie ricette, di far capire quali erano le nostre tradizioni, e il Barolo pian piano ha iniziato ad essere conosciuto.”

Qual è stato il contributo del giornalismo nel percorso di crescita di questi territori? I processi di globalizzazione come hanno influenzato le dinamiche locali?

“Il giornalismo internazionale ha giocato un ruolo importante e io dico anche i giornalisti stranieri erano molto riservati e molto seri, nel senso che io ricevevo delle persone che mi chiedevano di visitare la cantina, assaggiare il vino…chiedevano se potevano farti una foto, chi rifiuta di farsi fare una foto? E poi magari a distanza di tre mesi ricevevi la rivista con la tua foto, tu collegavi le cose: “Ma cribbio cui là han cuntame, l’han ciamame, ievu giornalisti quindi hanno scritto”.

E hanno creato dei percorsi ideali per cui i turisti hanno cominciato ad affluire e volevano andare in quei posti li. Quindi è stata una grossa evoluzione…poi il mondo, diciamolo, è diventato molto più piccolo: una volta pensare di fare una spedizione negli Stati Uniti era una cosa lunghissima. Noi si lavorava molto con il porto di Genova, addirittura noi siamo stati abbastanza favoriti per esportare però era un lavoraccio perché, pensate, noi caricavamo un vagone ferroviario alla stazione di Alba, quindi da La Morra si partiva con una furgonetta e, a 20 casse per volta, ne caricavi magari 200 casse che era già un numero impressionante. Questo carro ferroviario arrivava al porto di Genova, veniva travasato in una stiva e quindi poi viaggiava, attraversava l’oceano… Con i container tutto è cambiato: ti arrivava il container in cortile, caricavi, il giorno dopo era sulla nave, tre giorni dopo partiva, e dopo quindici giorni era a New York, faccio per dire. Quindi il mondo e il progresso sicuramente ci ha aiutato.”

Non solo numeri, però, anche migliore qualità…

“Si, devo dire, e questo è molto importante, che abbiamo migliorato molto sotto l’aspetto della qualità, quindi abbiamo lasciato da parte certe vecchie tradizioni, certe vecchie botti, che un po’ magari puzzavano…La Scuola Enologica ovviamente ci ha dato una mano perché tanti ragazzi giovani, figli di produttori, sono andati ad apprendere l’arte del vino alla scuola per cui miglioramento qualitativo.

Curiosità verso un vino che è grande ma che per fortuna non ha i prezzi di certi vini riconosciuti a livello internazionale che sono sicuramente buoni, però, ragazzi, io faccio sempre attenzione quando compro una bottiglia perché una bottiglia da 300 euro sarà sicuramente buona, è obbligata ad essere buona. Ma se io trovo una bottiglia buona che costa 50 euro, perché no?”

Il Barolo gode ormai di una grandissima fama. Come vede Lei il vino Barolo nel panorama internazionale?

“Il mondo si è aperto molto verso il Barolo, per fortuna, e noi oggi godiamo di questa nomea, godiamo di questa fama e dobbiamo continuare a meritarcela, semplicemente. Ma i presupposti ci sono tutti, perché non credo che siamo così goffi o incoscienti da rovinare il mercato. Poi in tutti i mercati ci sono alti e bassi, ci sono momenti in cui vendi meglio, momenti in cui vendi meno, ci sono difficoltà non so su certi … non so sento che in Cina è abbastanza problematico entrare perché i cinesi devono essere un po’ educati sul definire il concetto di qualità del vino: definire vino tutti i vini no; c’è vino e vino. E quindi su certi vini ci vuole un’attenzione maggiore, per capirlo meglio. Io paragono sempre il Barolo ad una grande signora, a una grande dama che va corteggiata, che non si concede così facilmente e quindi “venta steie preès” e bisogna regalarle i fiori, bisogna portarla a cena, bisogna regalarle i cioccolatini…Come primo approccio il Barolo è un vino difficile, ma è giusto che sia difficile, perché è un vino austero, un vino importante, deve essere conquistato pian piano.

Infatti negli anni, trent’anni fa, c’era stata un’esplosione sul mercato americano del Lambrusco e tutti a criticare, a dire “Oh il Lambrusco che vino è”… noi dobbiamo capire che un gruppo etnico, adesso gli americani sono difficili da definire perché sono una mescolanza di tante origini, che non ha mai bevuto un vino, cosa chiede ad un vino?

Chiede che sia leggero, che sia un po’ frizzante, che sia un po’ dolce. Perché il dolce è più facile da capire. Poi gli americani han cominciato a bere il Lambrusco e si son chiesti: “Ma in Italia si fa solo il Lambrusco?” No, in Italia si fanno altri vini. E allora hanno cominciato a curiosare. E allora han trovato per esempio un grande vino Soave in Veneto, hanno trovato il Chianti, hanno trovato in Piemonte il Barolo, il Barbaresco, i vini derivati dal Nebbiolo, quindi c’è stata un’apertura dettata dalla curiosità. Ecco questa è un’altra cosa che io sostengo sempre: nel vino bisogna essere curiosi.

Conosco delle persone anche di una certa caratura intellettuale che si danno arie “Ah io ho sempre e solo bevuto la Barbera…ah io ho sempre e solo bevuto il Dolcetto…” beh ma ti sei perso diecimila occasioni di piacere. A casa mia ho la fortuna di avere contatti con tutto il mondo del vino e quindi da me si viene volentieri perché c’è sempre la sorpresa di bere un vino che viene dalla Svizzera, piuttosto che dalla Germania o dalla Francia.

La curiosità è quella che ti da soddisfazione, come nei cibi. E’ vero che la tradizione va rispettata, i piatti tipici vanno tenuti in grande considerazione però ogni tanto uno ha anche piacere di trasgredire, no, voglio dire, mangiare sempre tajarin e vitel tunè, raviole, cribbio, se ogni tanto ci si trova a mangiare un’orata al forno può anche darci soddisfazioni…

Infatti questo viene anche dal fatto di questi scambi che ci sono stati tra il Sud e il Nord, non so in campagna c’è stata l’epoca in cui se volevano sposarsi dovevano ricorrere a donne del Sud, che erano le uniche che avevano il coraggio di salire in luoghi per loro lontanissimi, con mentalità lontanissime che si abituavano a vivere in campagna. E ovviamente queste donne cosa hanno portato a seguito? Il loro patrimonio culturale legato anche alla cucina.”

Nella foto, Massimo Martinelli immortalato da Bruno Murialdo.

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Il Progetto “Comunicare la Bellezza: Narrazione Digitale dei Paesaggi Vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato” è realizzato grazie al contributo di:

Regione Piemonte

Consorzio Barbera d’Asti e Vini del Monferrato

Cooperativa della Rava e della Fava

Il Progetto ha ricevuto il Patrocinio di:

Associazione per il Patrimonio dei Paesaggi Vitivinicoli di Langhe-Roero e Monferrato

Comune di Asti

Comune di Nizza Monferrato

Comune di Vaglio Serra

Provincia di Asti