Il Cerchio magico: La marcia delle donne

Il 21 gennaio scorso in quasi tutte le città americane e in molte altre città del mondo si è svolta una grande marcia delle donne, la più grande mobilitazione spontanea della storia recente, che ha coinvolto (solo negli USA) quattro milioni e mezzo di persone.

Si è trattato di una manifestazione enorme le cui finalità si possono riassumere a grandi linee in due punti: far arrivare al neo presidente Donald Trump (insediatosi il giorno precedente) il messaggio che il suo modo di parlare alle donne e delle donne non è degno di un Presidente degli Stati Uniti e, secondo, che le donne sanno unirsi quando si tratta di rivendicare il proprio ruolo politico e sociale. Riguardo al primo punto sono sorte polemiche sul fatto che protestare contro un Presidente appena insediatosi sia pretestuoso e che occorra dargli il tempo di dimostrare ciò che intende fare concretamente, questa obiezione è legittima e condivisibile, anche se è proprio di questi giorni la notizia che nel suo governo Trump abbia voluto 17 uomini (bianchi e ricchi), solo 4 donne e un uomo afroamericano,e che inoltre sia subito intervenuto per smantellare l’Obamacare privando così migliaia di americani di una copertura sanitaria…. andando a confermare le peggiori previsioni delle organizzatrici della marcia.

È il secondo punto però ad interessarci di più, perché non vivendo negli Stati Uniti potremmo pensare che le contestazione al neopresidente non ci riguardino. Questo evento rilancia alcuni messaggi significativi anche per noi: innanzitutto l’idea che le donne in alcuni snodi della storia debbano imparare a percepirsi come un soggetto che può muoversi unito, perché al di là delle nostre differenze (e sono tante) tutte sappiamo quanto sia ingiusto che la disoccupazione femminile sia tanto superiore a quella maschile (Nel 2014 il tasso di occupazione degli uomini nell’UE-28 era del 70,1 %, mentre quello delle donne era del 59,6 %, i Italia circa il 64% di uomini sono occupati, contro il 46% delle donne), che a parità di lavoro le donne guadagnino meno rispetto agli uomini, che la cura (dei bambini, dei malati, degli anziani) ricada per la maggior parte sulle donne. Ma soprattutto che in un mondo che ci vede più o meno in numero pari, le donne che possono prendere decisioni politicamente e socialmente rilevanti sia così basso.

È vero, nel mondo occidentale le donne possono studiare e possono – anche se molto più difficilmente degli uomini – accedere a ruoli decisionali, ma c’è ancora molto da fare per raggiungere la parità e quindi che le donne sentano di voler manifestare per loro stesse, per una volta, e non per una “causa” specifica è un segnale importante di consapevolezza e al tempo stesso di apprensione rispetto al cammino compiuto fin qui, che non venga compromesso.

Non possiamo dare per scontato che quello che abbiamo potuto fare noi lo potranno fare anche le nostre figlie, ma come genitori sentiamo che anche questo non sarebbe sufficiente perché vorremmo per loro qualcosa in più: la possibilità di lavorare, che il loro lavoro venisse riconosciuto, che fossero sostenute per poter diventare madri e continuare ad essere lavoratrici …

Insomma la women’s march ci riguarda tutte, quali che siano le nostre posizioni politiche, perché quando pensiamo al futuro delle nostre bambine non possiamo che desiderare per loro un degno posto in questo mondo e impegnarci perché sia così, come cittadini e anche – proprio – come donne.

Paola Lazzarini 

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