L’insolita esperienza da insegnante al CPIA…

Riceviamo e pubblichiamo il racconto di un’insegnante del CPIA che illustra, con un taglio insolito e sotto una luce particolare, la quotidiana esperienza di docenti in una scuola che si occupa di istruzione per adulti.

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Da quando ho scelto di lavorare al CPIA, nonostante molti anni di esperienza nella così detta “scuola tradizionale”, ho scoperto un nuovo modo di vivere l’insegnamento: quello che amo definire il lato oscuro della luna, non certo perché meno bello ma perché, purtroppo, meno conosciuto, anche fra gli addetti ai lavori.

Prendo servizio a dicembre e già dopo pochi giorni mi trovo a lavorare a pieno regime su vari corsi, dall’alfabetizzazione ai corsi più tradizionali di lingue straniere.

Sono alla prima esperienza come alfabetizzatrice: mi sembra un po’ di dovermi inventare, giorno per giorno, un mestiere parallelo, ma il ghiaccio è sottile, si rompe in fretta e subito mi appassiono e mi entusiasmo a “nuotare” in  quelle classi colorate come un acquario. Sono affascinata dall’eterogeneità di quei gruppi di studenti cresciuti che sembrano non avere nulla in comune, se non il desiderio di apprendere. Fra i banchi si mescolano lingue e dialetti, paesi e continenti, odori di cibo e talvolta di sudore, tutte le sfumature di colore della pelle, valigie pesanti di passato e sorrisi aperti al futuro. Ci sono occhi che parlano, ed è davvero difficile “ascoltarli”, ma è impossibile non farlo. Ci sono laureati ed analfabeti, roba che devi insegnare loro come si tiene una penna in mano. Ma se solo poteste vedere…copiano le lettere dell’alfabeto che scrivo alla lavagna come se stessero riproducendo un Caravaggio: con cura, timore, rispetto. A Natale mangiamo tutti insieme datteri caramellati e panettone, couscous e pizza.  E’ un’esperienza bellissima, a volte straziante, sempre incredibilmente gratificante.

Poi c’è il corso di inglese a Maranzana, che fino a poco tempo fa nemmeno sapevo dove fosse. Il livello è A1 “meno meno” , nel senso che il mio affezionatissimo pubblico è molto variegato: dai ragazzi neomaggiorenni dropout scolastici fino ai “vegliò” pensionati che, ovviamente, fanno un’enorme fatica a apprendere, ma si impegnano tantissimo, fanno i compiti a casa, copiano dalla lavagna con una diligenza encomiabile, a volte quasi commovente. Fra tutti spicca il Sindaco Marilena, che con i suoi 77 anni suonati ha una memoria elefantiaca e uno smalto invidiabile. La mascotte del corso è, per tacito accordo, il cane Lapo, l’affezionatissimo meticcio della Signora Rosalba che non la molla di un passo, quasi come fosse la sua ombra. Rosalba ama dire a tutti come si chiama il suo cane. “Lapo! Si chiama Lapo! Lapo El can!” E poi ride, ride, ride fino a farsi venire le lacrime agli occhi. Ogni giorno scopro con stupore come le dinamiche di gruppo in una classe, seppur accidentata come l’armata Brancaleone, siano poi sempre le stesse: c’è il “secchione”, quello che invece non studia mai, la simpatica canaglia, il ritardatario cronico, la timida e introversa, quello che invece non sta zitto nemmeno con un bavaglio. E tutti tornano un po’ bambini con una penna in mano e un quaderno, e condividono con me lo stesso stupore.  Sono tutte persone estremamente accoglienti e si è creato un clima quasi amichevole, al punto che mi prenoto per ripetere eventuale esperienza anche il prossimo anno, reclamando il diritto di prelazione! Ad ogni lezione trovo una bottiglia d’acqua che mi aspetta e le caramelle o cioccolatini per la pausa. Come si fa a non amarli?

Ma prima del mio corso serale a Maranzana, nel pomeriggio ho un altro appuntamento fisso con i miei cuochi, per un corso di inglese più tecnico, creato ad hoc per ristoratori e albergatori. In questo caso il pubblico è più omogeneo, ovviamente tutti interessati per ragioni lavorative all’argomento: aziende agricole, B&B, sommelier, chef, cantine sociali. Il corso è stato articolato su tre moduli principali: cucina, sala e bar. Il metodo comunicativo, necessario per affrontare questo tipo di formazione, privilegia l’interazione e trovano ampio spazio di riflessione approfondimenti sul lessico specifico. Il diverso livello di prerequisiti linguistici impone talvolta uno stop per approfondire qualche struttura morfosintattica ma nel complesso stiamo procedendo come da programma. Per adesso siamo ancora molto improntati al lessico, ricchissimo e complesso (utensili da cucina, preparazione e tipi di cottura dei cibi, alimenti ecc.) ma presto passeremo alla parte più dialogica e interattiva.

In questo caso le dispense del corso sono state interamente preparate da me, tagliate e cucite su misura come un abito sartoriale. Ho adattato e tradotto materiale preso dalle fonti più disparate e scaricato tantissime schede da internet -soprattutto per la parte lessicale- in forma di giochi come cruciverba, insiemi e sottoinsiemi di varie aree semantiche, caccia all’intruso negli ingredienti delle ricette e così via. Lo IAT mette a disposizione gli ampi locali della sala conferenze dell’Enoteca regionale, ho una lavagna bianca e impianto stereo per l’ascolto di tracce audio, utili per lavorare sulla comprensione orale con documenti autentici. Anche in questo caso mi diverto molto e sono contenta dei miei cuochini. La preparazione del corso ha comportato un’enorme mole di lavoro per me, sia per la preparazione e la collazione del materiale da usare, sia nel senso di un vero e proprio studio personale preliminare (non si ha idea di quanti tipi diversi di fagioli esistano al mondo!). Anche in questo caso però le cose procedono benissimo, nel senso della massima collaborazione. Gli enologi mi prepareranno una scheda olfattiva di base per la degustazione e la presentazione dei vini con i principali abbinamenti ai piatti del territorio, ovviamente in italiano, ed io la rielaborerò in inglese per proporla a tutti i corsisti. Stessa cosa per i piatti serviti nella maggior parte dei casi: mi forniranno un elenco in modo tale da preparare brevi descrizioni per illustrare le caratteristiche delle portate senza dover tradurre i singoli ingredienti, cosa che hanno sempre fatto, ma che impedisce al turista di capire realmente cosa stia per trovarsi nel piatto.

Senza scomodare paroloni come “Lifelong Learning”, credo che istituti come il CPIA siano una risorsa immensa per la formazione, un vero diamante grezzo che meriterebbe maggior pubblicizzazione e riconoscimento.  Da insegnante, sono davvero felice di aver operato questa scelta professionale che trovo appagante, creativa e assolutamente motivante. Ho già al caldo mille idee per il prossimo anno e sono sicura che con il prezioso aiuto delle fantastiche persone che ho la fortuna di avere come colleghi, riusciremo a fare davvero grandi cose.

Paola Epoque

Docente CPIA Asti

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