I valori della carne bovina piemontese e la tradizione del ”bollito”

Anche Giovanni Vialardi, Capo Cuoco e Pasticciere della Real casa (Savoia) a metà dell’Ottocento, ne era convinto: “La carne del bue è uno degli alimenti più utili per comporre una buona cucina”.

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Ed è ovvio che il celebre cuoco piemontese, autore di alcune altrettanto celebri “bibbie” della cucina regionale, si riferisse al bue di razza piemontese, maestoso animale dal colore bianco-fumino, capace di fornire carne di altissima qualità per sapore e valori alimentari e oggi caratterizzato da una sempre più diffusa “ipertrofia muscolare” o fenomeno della “groppa doppia”, meglio noto anche con la definizione di “Fassone”.

Da un punto di vista generale, la carne bovina – al centro in questi ultimi anni di un acceso dibattito tra fedeli sostenitori e convinti detrattori, soprattutto per motivi salutistici ma anche ideologici – ha registrato, a partire dalla fine degli anni ’60 del secolo scorso ad oggi una costante e importante evoluzione verso la qualità assoluta riducendo in modo sostanziale la percentuale di grasso di infiltrazione, grazie alla selezione genetica, all’alimentazione razionale e bilanciata ed alla macellazione anticipata. Ed anche la temuta presenza di colesterolo è attualmente nettamente sotto il livello di guardia con la presenza di circa 60/70 mg. per ogni 100 gr. di carne bovina, a fronte del limite quotidiano, considerato insuperabile, di 300 mg.

Tornando, nello specifico, ai bovini di razza piemontese è da sottolineare che la caratteristica ipertrofia muscolare determina un notevole aumento delle masse muscolari grazie ad un incremento nel numero delle fibre; è quindi intuitivo dedurre che questo si accompagna ad una diminuzione del grasso intramuscolare del tessuto connettivo, determinando in tal modo una maggiore tenerezza della carne.

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Per caratteristiche genetiche, la Razza Piemontese ha una scarsa attitudine a produrre grasso, sia di deposito che intercellulare ed è oggi considerata tra le più pregiate al mondo proprio grazie alle ottime caratteristiche nutrizionali e dietetiche, essendo una carne magra, tenera e saporita. Si può definire un alimento ottimamente bilanciato dal punto di vista sia dell’apporto totale di grasso (quantità), sia dal punto di vista della distribuzione degli acidi grassi (qualità del grasso).

In particolare, va sottolineato che se da una parte i bovini di razza piemontese registrano una resa in carne assai elevata (circa il 70%) alla macellazione, d’altro canto presentano interessanti caratteristiche alimentari per i consumatori: un basso contenuto in grassi che si associa ad una qualità eccellente dei grassi stessi: il rapporto tra grassi acidi saturi e acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi è tale da porre questo tipo di carne sullo stesso piano dei pesci.

Il bollito non è il lesso

Tra i vari tipi di cottura della carne bovina piemontese, il “bollito” è stato per alcuni secoli tra i più diffusi, tanto da diventare nella versione del “Grande Bollito misto piemontese”, uno dei piatti-mito della cucina regionale. Vale a questo riguardo sottolineare che, quand’anche non si ritenesse di mettere in pentola il “grande misto” (sette i tagli di vitello o vitellone, sette gli ornamenti, sette le verdure e tre i bagnetti), il “bollito” non deve essere confuso con il “lesso”. Il primo deriva dalla carne messa a cuocere in acqua fredda che dà buon brodo, ma impoverisce le carni; il secondo, invece, prevede che la carne sia messa cuocere in acqua già bollente: il brodo sarà meno ricco, ma le carni conservano ricchezze di gusti, profumi e sostanze.

In entrambi i casi l’abbinamento deve essere con un vino generoso. Quale meglio della Barbera?

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