Il Cerchio magico: La bimba benedetta di Kent Haruf

Ci sono doni speciali dell’estate, uno dei migliori è quello di riuscire a leggere con maggiore agio rispetto al resto dell’anno e quindi a terminare un libro in un tempo ragionevole e non diluirlo all’infinito, fin quasi a perderne il filo.

Nei giorni scorsi ho potuto leggere finalmente, e a modo mio, un libro che avevo tenuto da parte proprio per questo periodo dell’anno: “Benedizione” di Kent Haruf, un libro uscito alcuni anni fa, ma che mi è venuto incontro (come spesso fanno i libri importanti) qualche mese fa per farsi leggere proprio ora. Non ho intenzione di recensirlo e d’altronde non avrebbe senso dato che è stato già fatto mille volte, ma solo di consigliarlo soffermandomi su un aspetto che incontra splendidamente lo sguardo specifico che cerca di avere questa rubrica.

Benedizione è fondamentalmente il racconto di una morte, la morte annunciata e accompagnata di Dad Lewis figura rispettata del paese immaginario di Holt, ma in questa storia compare un personaggio apparentemente marginale, che marginale non è affatto, sul quale vorrei soffermarmi: si tratta di Alice, una bambina di 5 anni che ha perduto la mamma per un cancro al seno ed è andata a vivere con la nonna, che abita accanto al protagonista del romanzo. Alice con la sua semplice presenza catalizza attenzioni ed emozioni, le donne intorno vorrebbero tutte occuparsi di lei, chi perché non ha mai avuto figli, chi perché li ha perduti, tutti la cercano e vogliono farle dei regali e quando la bimba se ne stupisce e chiede ragione è la nonna a spiegarne il motivo: “Ma nonna, non mi servono dei vestiti nuovi. Sì, ma per loro è importante regalarteli. Pensa a loro. Hanno bisogno di un motivo per stare con te e hanno trovato questo. E a te va bene riceverli. Hai sempre detto che è meglio dare che ricevere. In questo momento le stai aiutando a dare. E in questo modo stai dando anche tu”.

Quanto abbiamo bisogno dei bambini, è proprio vero, abbiamo bisogno di prendercene cura, di vederli correre e ridere e più la morte si avvicina, più sentiamo il bisogno di guardarli, toccarli, sentirli per credere ancora che la vita esiste e forse per chiedere perdono:  Dad Lewis, a cui la figlia chiede ragione del fatto che avesse voluto tenere il viso di quella bimba tra le mani, risponde: “Volevo solo toccare ancora una volta il viso morbido di una bambina.

Quando ero piccola, toccavi a quel modo anche il mio?

Lui la fissò a lungo. Non penso.

Perché no?

Avevo troppo da fare. Non ero attento.

No, disse lei. Non lo eri. Si portò alla guancia la mano di lui.

Perdonami, sussurrò lui. Ho sbagliato un sacco di cose. Avrei voluto fare di meglio”.

C’è tanta vita in questa storia di morte e tanta realtà, per questo leggerla avendo una bimba in carne e ossa che gioca davanti a me l’ho sentito come un grande privilegio, perché nella stanchezza delle giornate di madri a volte possiamo perdere di vista per qualche istante il fatto che siamo dei privilegiati a essere stati benedetti dalla presenza dei nostri bambini e che questi doni non sono soltanto per noi, ma per tutti quelli che li incontrano, perché portano vita ovunque vadano.

Un ultimo particolare mi è rimasto particolarmente caro in questo libro, forse anche perché inaspettato, ed è uno scambio di battute sull’allattamento, mentre tre donne, in compagnia di Alice, guardano le mucche abbeverarsi: “Quel vitello vorrà magiare non appena torneranno al pascolo, disse Willa. Non sai che colpi danno alle madri, che strattoni. Sì, ma allattare è bello, disse Lorraine. Pensi che il mondo potrebbe essere un bel posto. Ed è una cosa che senti dentro di te, nel profondo”. Ecco, ho scritto tante volte di allattamento eppure so di non essere mai stata così chiara: “allattare è bello”, così semplicemente, allattare è bello davvero.

Buona lettura.

Paola Lazzarini