Il Cerchio magico: Questo latte misterioso e spaventoso

È della scorsa settimana la notizia di una mamma di Biella che è stata redarguita dagli impiegati di un ufficio postale sul fatto che lì non si potesse allattare; del mese scorso quella che una giovane ricercatrice impegnata in un convegno a Bologna, allontanata dalla sala di un museo dove stava allattando la sua bambina; di queste ore il racconto di una donna di Singapore – in scalo a Francoforte per poi ripartire per Parigi –a cui è stato ingiunto di dimostrare l’uso del tiralatte elettrico che portava nel bagaglio, scoprendo il seno e tirandosi il latte davanti a un’ufficiale.

Se le prime due storie, tutte italiane, colpiscono perché svelano la difficoltà di normalizzare un fatto che più naturale non si può, è l’ultima a gettare a parer mio una luce più chiara su questa faccenda che evidentemente non riguarda solo il nostro Paese. Il problema non è scoprire il seno (chi ci fa caso ormai?) e neppure nutrire un bambino, ma l’associazione naturale delle due cose in un processo del quale OGGI in OCCIDENTE non si sa più nulla! Nel racconto che la signora di Singapore ha rilasciato alla BBC colpisce la domanda che la agente donna le ha posto: se era vero che allattava come mai non aveva uno strumento sempre attaccato al capezzolo? Come se il latte fuoriuscisse in continuazione,  insomma la totale ignoranza dei meccanismi della lattazione, neppure la più piccola conoscenza per la quale basterebbe osservare una gatta che allatta o una mucca che viene munta. Dall’ignoranza cresce rapido il sospetto: se allatti e il tuo bambino non è in questo momento accanto a te significa che non allatti. La madre non può quindi allattare e allontanarsi, per qualsiasi ragione, da suo figlio: o allatti o sei una persona libera di muoverti, lavorare… le due cose non possono sussistere insieme. Certo, sappiamo bene quanto sia complesso organizzarsi per allattare quando si lavora, tanto più viaggiare, ma è ben per questo che esistono i tiralatte! E alla fine il messaggio che torna sempre è quello che le donne, se proprio insistono a voler portare avanti una pratica tanto barbara, almeno lo facciano a casa loro, lontano dalla vista degli altri!

È inquietante che episodi di questo genere avvengano con tale frequenza dopo (ormai) decenni di lavoro di sensibilizzazionesull’allattamento al seno compiuto a livello di società civile e di organismi sovranazionali e nazionali, con le consapevolezze che ormai abbiamo o dovremmo avere sull’importanza che il latte materno riveste nella crescita complessiva (fisica e psichica) del bambino. C’è ancora tanta strada da fare per normalizzare questo gesto, per riappropriarcene culturalmente e ri-attribuirgli la valenza che gli è propria, e forse occorre ripensare le modalità con cui si è fatta tanta sensibilizzazione.

Mi chiedo, è solo uno spunto, se l’insistenza sul dato medico e biologico sia la strada giusta, se sia corretto offrire quasi sempre e solo riflessioni che confrontano latte materno e latte artificiale e non invece ripartire dalla naturalezza e dalla bellezza di questo gesto. Allattare è tante cose, cose che facciamo fatica a tollerare: è fiducia e non controllo del proprio corpo, è rallentare e lasciare che un’altra persona detti i tempi, è abbandonarsi ad una relazione simbiotica positiva e anzi necessaria. Questi tratti difficili e al tempo stesso bellissimi dell’allattare, che sono poi i punti su cui realmente lavorano gli operatori, dovrebbero forse entrare di più nei canali comunicativi… più della composizione del latte o dei discorsi sul sistema immunitario, che possono convincere razionalmente, ma difficilmente riescono a ripristinare un clima accogliente e comprensivo attorno alle mamme. E non fanno neppure venir voglia di allattare dato che c’è sempre chi dirà “i miei figli son venuti su benissimo con il LA” (e meno male direi, altrimenti a che servirebbe?) oppure “i figli di mia cognata che ha allattato si ammalano più dei miei”. È del bello di allattare che dobbiamo parlare, senza nasconderne la fatica.

Si dice sempre che i cambiamenti culturali richiedono tempo, questo non è sempre vero, ma credo che in questo caso lo sia.Accanto al tempo però richiedono impegno, fatica e presa in carico da parte di tutte le persone che ne condividono l’urgenza, ma ne vale la pena.Vale la pena proteggere l’allattamento perché significa proteggere i nostri bambini in ciò che hanno di più caro e vitale al mondo: la relazione con noi.

Paola Lazzarini 

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